sabato 28 febbraio 2009, di rigoberto
da la Repubblica del 16 febbraio 2009
Finalmente anche a Milano, con un buon ritardo rispetto a molte altre città, è arrivato il bike sharing. Forse penalizzato dalla infelice esperienza di 25 anni fa. Un ritardo peraltro che condivide con il sistema Paese: decimo nell’ uso del due ruote in Europa. Dove in alcune città, come Parigi (in un anno oltre 25 milioni di locazioni, 120 mila trasferimenti al giorno) e Barcellona, ha raggiunto una diffusione veramente di massa. Il servizio consente, a chi possiede una tessera magnetica ottenibile on line, di prendere rapidamente possesso, in punti strategici della città (a Milano una rastrelliera è in piazza del Duomo) di una bici e lasciarla poi a fine tragitto anche all’ altro capo della città. Il costo è assolutamente contenuto: pochi euro per un paio d’ ore di uso. Le biciclette sono di ultima generazione: al posto della catena c’ è un albero di trasmissione interno, il che evita di sporcare il bordo dei calzoni che l’ uso feriale in città renderebbe assai disagevole. Sono pesanti, ma maneggevoli con un cestino porta oggetti di buone dimensioni e ragionevolmente sicure. Paolo Garimberti, sulle pagine milanesi di Repubblica, conduce da anni una coraggiosa campagna di proselitismo all’ uso delle due ruote: il merito è anche suo. La diffusione della bici per il traffico urbano genera molte positive ricadute. Rapidità di spostamenti - la velocità media di un auto in città è inferiore ai 5 km orari - abbattimento del costo dei trasporti, flessibilità. Soprattutto riduzione a zero nelle emissioni di CO2: certamente il mezzo più efficace, insieme ai trasporti pubblici, per una politica di mobilità sostenibile. Anche l’ inquinamento acustico, uno dei più disturbanti killer della vivibilità nelle città, diviene, con l’ uso della bici, inesistente. Last but not least il movimento fisico, che può avere importanti, positive ricadute sulla salute anche se attività aerobiche, nella camera a gas generata da chi si sposta in auto, non sono il massimo. Copenhagen è stata recentemente eletta come città al mondo con la migliore qualità della vita. Che un abitante su tre si muova abitualmente in bici, così come la pressoché totale pedonalizzazione del centro della città, ha certamente influito su questo primato. Peccato che l’ avvio nell’ uso delle city bikes a Milano sia avvenuto d’ inverno per di più con una stagione tanto inclemente. Ma è stato condotto, a parere di chi scrive, con molta determinazione e con delle modalità impeccabili. Anche la campagna pubblicitaria è divertente ed efficace. C’ è un unico vulnus, in un progetto di così grande portata, ma pesante come un macigno. Ricordate il detto mettere il carro avanti ai buoi? A Milano piste ciclabili, almeno nelle zone centrali, praticamente non esistono. Qua e là si trovano singoli tronconi non collegati fra loro: buttati lì quasi a casaccio e del tutto inutili. E’ come aver costruito, in montagna, un eccellente sistema di sky lift, di impianti di risalita laddove non esistono le piste. Anzi dove non nevica per cui anche il fuori pista e lo sci da fondo risultano impraticabili. Chi scrive ha provato ad avventurarsi con la sua city bike nella zona in cui abita e l’ esperienza è stata fortemente disincentivante: tra due colonne di macchine parcheggiate da ambo i lati (basterebbe togliere una di queste per ricavare un’ eccellente banda riservata a chi pedala), traffico intenso nei due sensi, portiere d’ auto spalancate all’ improvviso, la trappola delle rotaie del tram, buche in continuazione, pavé, strade dissestate. Ho percorso qualche centinaio di metri di pista ciclabile in cui mi sono imbattuto con un continuo slalom fra pedoni, cani e i loro escrementi. Nei progetti di Milano 2015 la ciclabilità sembra divenire una presenza importante. Ma di annunci e proclami di questo genere la Municipalità ambrosiana, in passato, ne ha emessi tanti. I risultati sono quelli che abbiamo dinanzi agli occhi. Sono decenni che Milano, ma anche tante altre città italiane, chiede con insistenza di non essere più ostaggio delle automobili. Con buona pace dei costruttori di auto e di chi ritiene che queste siano una sorta di protesi delle gambe. Non si tratta di fare guerra all’ auto ma di tutelare la nostra qualità della vita ed arginare la loro straripante presenza. Non è più possibile lasciare ancora alle auto - costose, rumorose, inquinanti - il monopolio di fatto del traffico urbano.
DI GIAMPAOLO FABRIS