mercoledì 25 giugno 2008, di Alberto
Al telefono in bici, l’outing dei politici
"Sì, pronto. Parla pure, sto andando in Comune…". Beccati. Arrivano a Palazzo Barbieri in bici con il cellulare appiccicato all’orecchio.
L’hanno sempre fatto e continuano a farlo, anche dopo il caso del giovane ciclista multato con 148 euro perché pedalava parlando al cellulare. E fanno outing: "Il telefonino? Certo che rispondo quando vado in bici. E voglio vedere se mi multano", dice Antonio Lella, esponente di Alleanza Nazionale. Uno dei tanti consiglieri comunali che ammettono la colpa: anche loro rispondono al telefono quando vanno in bicicletta. Lo fanno e non si chiamano pentiti, anzi si dicono indignati per quello che definiscono un eccesso di zelo di fronte a un peccato veniale: "Trovo sconsiderata quella multa, di fronte all’infrazione ben più grave di chi fa le manovre in auto telefonando. Quello sì è pericoloso. Eppure tantissimi lo fanno e nessuno li punisce", si accalora Lella.
Come lui, tanti sui colleghi, da sinistra a destra, si muovono in bici. E telefonano.
La sua compagna di partito, Lucia Cametti, usa la due ruote per andare in Consiglio e alle commissioni, e se squilla il telefono risponde: "Certo che lo faccio e non credo di mettere a rischio nessuno. Tenere il manubrio con una mano è una cosa che si fa abitualmente. Quando piove, ad esempio, con una mano tengo l’ombrello. Allora perché non mi multano?".
Dall’Udc la confessione giunge da Giampaolo Beschin, ciclista da 1500 chilometri l’anno, macinati soprattutto in estate. "Devo essere sincero? Sì, rispondo come tanti. Ma il peccato lo ha fatto chi ha appioppato la multa. A meno che uno non viaggi ai 50 chilometri all’ora, cosa improbabile, la velocità di chi va in bici è poco superiore a quella del pedone. La legge va applicata con il buon senso, altrimenti dovremmo multare anche i pedoni che attraversano fuori dalle strisce. E il buon senso non è quello dei vigili che l’anno scorso hanno multato l’ambulanza fuori dal teatro Romano, la bambina col panino a Palazzo Barbieri o il ciclista".
Usare il telefono cum grano salis: concorda Orietta Salemi, del Pd: "In bici non lo uso per discussioni lunghe o in mezzo al traffico di via Mameli, ma nei tratti sicuri. Multare un ciclista è infierire, mentre il codice andrebbe applicato nei tanti casi di prepotenza e teppismo quotidiani: vedo ogni giorno automobilisti che superano con la doppia linea, fanno zig-zag, passano col rosso. E quelli non li ferma mai nessuno".
E l’ex sindaco Paolo Zanotto: "Chi telefona in bici è innocuo e anch’io a volte lo faccio. E’ pericoloso farlo in auto. E’ lì che servirebbe un segnale". Il suo compagno Fabio Segattini fa l’esame di coscienza: "E’ vero, anch’io pedalo e telefono. Diciamo la verità, le regole non le rispetta più nessuno. Bisognerebbe farle valere, anche con i pedoni che passano col rosso".
Si accoda Salvatore Papadia, capogruppo di Forza Italia, che ammette a fatica gli sgarri: "E’ vero, si telefona in bici. E anche in macchina. Ma non si dovrebbe. Dobbiamo acquisire tutti una nuova educazione sulla strada".
"Ok la municipale, si tratta di regole"
Tutti rei confessi e spesso non pentiti, a parte Elena Traverso e Stefano Ederle, di An. Che si dichiarano scrupolosi osservatori del codice e dalla parte dei vigili: "Io, quando suona il cellulare, accosto subito.
Telefonare in bici è pericolosissimo – taglia corto la Traverso -. Giusta la multa di 148 euro. Quello studente in bici non telefonerà più". Ed Ederle, che fa l’avvocato ed è specializzato in infortuni stradali, bacchetta Danilo Di Luca, che si è schierato dalla parte del ciclista multato: "Sarà anche campione in bici, ma in questo caso non lo è stato. Deve dare l’esempio, non dare ragione a chi commette infrazioni".