L’idea di realizzare una nuova ferrovia tra Ostiglia a Treviso nasce tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900 sia per fini militari che per motivi commerciali. Il progetto fu sospeso dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e ripreso successivamente. La linea fu aperta per tratte dal 1925 al 1941 per una lunghezza complessiva di circa 116 km. Nella sua completa estensione la linea ferroviaria ebbe poca vita, poiché fu pesantemente bombardata dagli Alleati nel 1944. Per tale causa la tratta Grisignano-Treviso venne chiusa già dal novembre dello stesso anno e l’intera linea progressivamente dismessa fino alla cessazione totale nel 1987.
La dismissione di una linea ferroviaria causa in molte persone una ferita profonda la cui intensità è strettamente connessa al grado di relazione che con essa si era costruita. Il ricordo di chi andava a scuola o al lavoro utilizzando le vecchie automotrici, i frontisti che avevano le giornate scandite dal sibilo del treno o dal rumore dello sferragliamento, il personale ferroviario che ti accompagnava durante il viaggio, le comunità che crescevano in simbiosi con le stazioni, con il movimento delle merci, con la modernità.
In Italia esistono oltre 5.000 chilometri ferroviari dismessi, alcuni per la modifica dei tracciati, la maggior parte per scelte dettate da valutazioni superficiali da parte di amministratori poco lungimiranti che avevano come modello di riferimento una società basata sulla prevalenza del mezzo privato rispetto a tutto il resto. Negli ultimi decenni a partire dagli Stati Uniti per arrivare ad alcuni paesi europei, e da qualche anno anche in Italia, è iniziato un lento ma progressivo recupero di questi sedimi con funzioni ciclopedonali.
È un recupero che tende a mantenere viva la memoria storica di luoghi, di toponimi, di vedute e paesaggi, memoria che diversamente sarebbe irrimediabilmente perduta nel giro di poche generazioni; è un recupero che mira a mantenere, anche con funzioni diverse, il bene materiale e la continuità spaziale dell’opera e che rappresenta un grande progetto culturale prima ancora che trasportistico. Su questo tema la Fiab, anche attraverso le associazioni locali ad essa aderenti, è impegnata da molti anni e alcune delle ciclabili realizzate su vecchi sedimi ferroviari sono le più frequentate da viaggiatori ed escursionisti.
Basti pensare alla ciclovia Alpe Adria in Friuli-Venezia Giulia, a quella nel ponente ligure, alla ciclovia dei Trabocchi in Abruzzo, alla ciclovia della Basilicata e alla più recente Voghera-Varzi. Una recente ricerca di Fiab ha evidenziato come siano più 1.000 i chilometri ferroviari dismessi convertiti in piste ciclabili e molti sono i progetti che mirano ad incrementare questo numero.
E il Veneto non fa eccezione. Dalla fine degli anni novanta la regione ha destinato cospicue risorse per trasformare l’intera tratta ferroviaria dismessa che collegava Ostiglia a Treviso in una comoda, lunga e affascinante pista ciclabile. Si tratta di una lingua di territorio di circa 120 km che attraversa quattro province in direzione nord/ovest-sud/est e che “sconfina” in Lombardia, nel comune mantovano appunto, per un breve, ma significativo, tratto. È un progetto che parte da lontano e che ha incontrato diversi ostacoli, a partire dal desiderio di alcune amministrazioni locali (poche in verità) di realizzare l’ennesima “camionabile” in luogo di una via verde. Ci sono voluti alcuni anni, molte iniziative di cittadini e associazioni, in primis la Fiab, e alcuni amministratori lungimiranti per scongiurare il pericolo e riportare la situazione sul “giusto binario”.
Ad oggi (gennaio 2024) la pista ciclabile è stata realizzata per circa la metà dell’estensione della ex ferrovia, e precisamente dalle porte di Treviso (ma una ciclabile urbana la collega al centro storico) fino al fiume Bacchiglione, in comune di Montegalda, nel vicentino. Un osservatore neutrale potrebbe affermare che oltre 20 anni per realizzare circa 60 km non sono pochi, anzi, tuttavia è giusto considerare che la sensibilità politica su questi temi era tutta da maturare e che comunque erano da reperire cospicue risorse per realizzare alcune opere puntuali, come ad esempio il ponte sul fiume Brenta, inaugurato solo nell’ottobre del 2017 (al posto di quello ferroviario abbattuto poco prima della fine della seconda guerra mondiale).
La novità vera è però quella legata al completamento della ciclabile fino al confine della Lombardia. Se per fare 60 km ci sono voluti quasi quattro lustri, per completare gli altri 60 basteranno solo un paio d’anni, di cui uno è già trascorso. La Regione Veneto ha infatti destinato circa 27,8 milioni di euro per finire l’opera coinvolgendo Veneto Strade come stazione appaltante, l’appalto è stato diviso in 7 lotti e il completamento dell’opera avverrà per stralci. Le ultime informazioni in nostro possesso ci dicono che la tratta Montegalda-Cologna Veneta, circa 30 km, sarà aperta al traffico ciclopedonale entro la prossima primavera. La restante tratta entro la fine dell’anno (per i pessimisti entro la primavera del 2025). Tutti i lotti sono operativi, nel senso che i cantieri sono effettivamente partiti, e di questi tempi non è cosa da poco, e chi è transitato in questi giorni lungo il tracciato avrà avuto modo di vedere, in particolare, la posa di alcune interessanti passerelle a scavalco dei corsi d’acqua.
Per quanto riguarda Fiab è già in programma per il mese di giugno una grande pedalata con partenza da Piazzola sul Brenta e arrivo a Cologna Veneta per festeggiare l’arrivo della nuova ciclabile.
Dopo anni di iniziative, dibattiti, prese di posizioni e confronti non era una cosa scontata.
di Antonio dalla Venezia
(da Ruotalibera 181 – gennaio-marzo 2024)