Questione di testa
Assieme ad altri amici di FIAB Verona, ho la fortuna di insegnare a dei ragazzi dai nove ai tredici anni l’educazione stradale e l’amore per la bicicletta. Pagliaccio qual sono, mi diverto a provocare i ragazzi con sceneggiate, trabocchetti linguistici e battutine elementari, nel mentre cerco di trasmettere loro le nozioni base per andare in bicicletta, tutti i giorni, in sicurezza. Sembra che si divertano. Spero anche che si portino a casa qualche buona idea.
Uno dei trabocchetti che tendo loro mentre, impazienti, aspettano di partire per la passeggiata in bici lungo l’Adige, riguarda l’uso del casco. “È obbligatorio l’uso del casco per andare in bicicletta in Italia?” E loro, che già hanno visto la distesa di caschetti pronti sul tavolo, mi rispondono in coro: “Siii!”. Al che ribatto che, invece, l’uso del casco non è obbligatorio, ma che se vorranno fare il giro dovranno indossarlo. Naturalmente anche io e gli altri amici accompagnatori facciamo altrettanto.
Il motivo è semplice: la stragrande maggioranza dei ciclisti che muoiono sulle strade italiane sono vittime di investimenti da parte di auto e di camion che procedono ad alta velocità e che li gettano a metri di distanza o li schiacciano sotto le loro ruote.
Il caschetto, che pure è utilissimo in caso di caduta e ripara la testa nell’impatto con il terreno o con ostacoli sopraelevati, nulla può fare contro la prepotenza di mezzi a motore avanzanti a velocità sostenuta. Pensare di risolvere il problema sicurezza dei ciclisti approvando una legge che li obblighi a indossare il casco, anziché agire sulla fonte del pericolo, cioè i veicoli a motore che scorrazzano impunemente sulle nostre strade e la mancanza di strutture protette, è illusorio e fuorviante.
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(da Ruotalibera 161 – gennaio-marzo 2019)