Periodico degli Amici della Bicicletta
n°57 - Ottobre-Dicembre 1997

Siamo Arrabbiati

COSI’ NON SI FA UNA CITTA’ A MISURA DEI PIU’ DEBOLI
ANCHE L’INFORMAZIONE DISCRIMINA I CICLISTI

NON VADO PIU’ IN BICICLETTA
A Verona pedoni e ciclisti rischiano la vita;
alcune proposte per una “città possibile”.

Sono un ciclista urbano, ormai da oltre 15 anni. Chi mi conosce si è abituato a vedermi girare per Verona in bicicletta (non per sport o passione, ma per i miei normali spostamenti quotidiani).
Eppure ultimamente mi ha visto ben di rado. Da circa un anno ho “appeso la bici al chiodo” e vado al lavoro in autobus. Per una semplice ragione: in bicicletta ho cominciato ad aver troppa paura (e sono stufo di aspettare che, nella gestione del traffico, a Verona cambi qualcosa).

Perché ho più paura? Il traffico a Verona è sempre stato pesante, eppure mi ci sono “destreggiato” a lungo.
La situazione però è andata deteriorandosi.

Le ragioni di questa situazione, sono molteplici.
Sulle strade circolano più automobili, ma soprattutto sempre più potenti. Io stesso, abituato ad un’accelerazione graduale, cambiando auto ho potuto constatare la differenza. Una lieve spinta dell’acceleratore e si arriva ben oltre i cinquanta, spesso senza accorgersene (anche per la maggior tenuta di strada). Ho percepito, quindi, che ormai guidiamo dei “proiettili”, molto pericolosi se non si è più che prudenti ed attenti ai diritti degli altri utenti della strada...
Invece si nota un progressivo “imbarbarimento” nel modo di guidare, sempre più veloce, nervoso, intollerante verso i diritti degli altri. E, a fronte dell’aumento di pericolosità, sulle nostre strade non c’è stato neppure un corrispondente aumento della vigilanza pubblica. Anzi la repressione dei comportamenti illeciti lascia alquanto a desiderare.
Purtroppo, mi sembra, i nostri Amministratori ma anche, più in generale, tutti i cittadini, sono “culturalmente” molto impreparati di fronte a questa situazione. Poco o nulla si è fatto per fronteggiarla ma, quel che è più grave, spesso neppure ci si pone il problema.
Ci si preoccupa del traffico più che altro perché non è abbastanza fluido o, quando va bene, perché inquina o disturba. E quelle poche volte che si parla di sicurezza si pensa a chi guida (airbag, cinture, casco, ecc.), raramente a chi sta fuori.

E, si badi bene, tutto questo non riguarda solo i ciclisti. Tutti siamo “pedoni” e molti sono quelli più “deboli” che non riescono a muoversi autonomamente per la pericolosità delle strade e del traffico (anziani, bambini, handicappati, ecc.).
E’ necessario pertanto affrontare questo problema con maggior decisione ed investendo più risorse.
L’esperienza di molti Paesi Europei può dare validi suggerimenti. Noi Amici della Bicicletta li abbiamo citati più volte per le “piste ciclabili”, che però, evidentemente, non arriveranno mai se non cambia, più in generale, anche il modo di muoversi e di gestire la viabilità.
I tecnici comunali, quelli che mettono mano alle nostre strade, dovrebbero cominciare a realizzare, dove possibile, tutti quegli accorgimenti che entrano nel campo della cosiddetta “moderazione del traffico” (attraversamenti pedonali sicuri, zone 30, strade residenziali, moderazione della velocità, ecc.).
Servono poi anche campagne di educazione stradale, verso tutti gli utenti (automobilisti, motociclisti, ciclisti, ecc.). E’ necessario “sensibilizzare” ai diritti degli altri, ma anche istruire; per evitare incidenti bisogna anche conoscere le manovre da evitare e le situazioni a rischio (e anche molti ciclisti commettono, talvolta per ignoranza, gravi imprudenze).
Bisogna quindi modificare i comportamenti sia “ritoccando” le strade, sia con l’educazione ma, quando non basta, anche con una valida repressione; cioè maggior presenza delle forze dell’ordine e, all’occasione, sanzioni severe.
A mio parere, però, il problema non è solo questione di provvedimenti amministrativi, ma richiede anche un cambiamento culturale per il quale gli organi di informazione, gli educatori e le associazioni dovrebbero impegnarsi con maggior vigore.
Questo non deve essere un “alibi” per gli amministratori pubblici (come spesso lo è stato); chi governa è comunque responsabile e dovrebbe affrontare il problema e prendere i provvedimenti necessari. Non si può negare tuttavia che i Paesi Europei citati, si distinguono anche per una diversa “cultura”; è considerato intollerabile, ad esempio, che un bambino non possa recarsi a scuola da solo o che un anziano non riesca ad attraversare la strada....
In Italia invece impera l’idea che “la strada è delle auto”. Ho notato, ad esempio, anche come passeggero sulla vettura di amici e conoscenti, che molti automobilisti reagiscono con stizza e fastidio alla presenza di ciclisti o pedoni sulla strada, perché evidentemente “invadono il loro territorio”. Oppure gli stessi pedoni che ringraziano gli automobilisti che si fermano agli attraversamenti pedonali; lo ritengono una gentile concessione, non un diritto....
E’ necessario convincersi che “la strada è di tutti”; altrimenti sarà difficile tornarvi a camminare o pedalare sereni.

Stefano Gerosa

Post Scriptum:
Questa mia decisione (triste) di diminuire l’uso della bicicletta (solo in città) non è definitiva. Come qualcuno avrà già intuito non ho di certo intenzione di “mollare”.Significa però che la battaglia per le piste ciclabili, seppur necessaria, non è più sufficiente, che occorre muoversi ed agire in molte altre direzioni.Sono contento che gli Amici della Bicicletta di Verona abbiano deciso di impegnarsi anche nel campo della moderazione del traffico e, per chiarirlo a tutti, di aggiungere al proprio nome lo slogan “per una città possibile”, cioè per una città dove pedoni, ciclisti ed automobili possano muoversi tutti meglio, con maggior rispetto e sicurezza.

Martedì 30 Settembre il quotidiano “L’Arena” pubblicava un’ironica lettera del nostro presidente che, a proposito dell’ennesimo mortale incidente occorso ad un ciclista, il musicista Gianmaria Mingoni, intendeva criticare le conclusioni distorte che spesso i giornali, e non solo loro, traggono da questo genere di tragici avvenimenti. Lo scritto, titolato “Così si fa una città a misura di bicicletta”, veniva trascritto non senza consistenti tagli che ne hanno alterato il significato originario. Eccovi la versione ...non “depurata”:

Fa impressione, leggendo fra le cronache veronesi di questa estate, la tragica sequenza di incidenti mortali che hanno colpito ciclisti e pedoni, quasi sempre incolpevoli vittime di comportamenti scriteriati, se non criminali, ma ormai divenuti abituali per molti automobilisti. Nell’ultimo (speriamo) della lunga serie, un ciclista é stato ucciso da un’auto mentre attraversava Viale Caduti del Lavoro, lo stradone del Saval. L’automobile viaggiava evidentemente ad alta velocità, nonostante il limite, non si spiegherebbe altrimenti come una frenata di cinquanta metri non abbia impedito un impatto dalle conseguenze mortali, ma un articolo di commento all’accaduto apparso su “L’Arena” del 19 Settembre ribaltava completamente i termini della questione, arrivando a formulare delle soluzioni, quantomeno grottesche. L’estensore dell’articolo, rivelando un modo di affrontare i problemi alquanto superficiale, peraltro comune a molti opinionisti “da bar”, non trovava di meglio che auspicare una completa chiusura dei varchi nello spartitraffico, così da impedire l’attraversamento della strada a chi dall’area del Provveditorato volesse raggiungere in bici il quartiere del Saval.

Ragionando per analogia, ci permettiamo di suggerire una serie di provvedimenti assai economici da realizzare e che garantirebbero la sicurezza di ciclisti e pedoni, anche perché contribuirebbero, alla lunga, ad eliminare dalle strade veronesi queste fastidiose categorie di cittadini, già in forte diminuzione negli ultimi anni.

1) Chiusura della nuova pista ciclabile di Viale Piave, dopo l’eliminazione di quella dalla parte opposta del viale, per evitare ai ciclisti diretti o provenienti da Borgo Roma il rischioso attraversamento dello Stradone Santa Lucia e, in conclusione, chiusura di Viale Piave ai ciclisti.
2) Introduzione del divieto di transito alle bici nei pericolosi sottopassi di Via Albere, sì da costringere un ciclista che da Santa Lucia volesse recarsi in Centro a compiere, vista la precedente chiusura di Viale Piave, il giro da Basso Acquar, o, meglio ancora, a desistere da tale malsano proposito e usare l’auto se ce l’ha.
3) Soppressione di tutti gli attraversamenti pedonali in Corso Milano, data la loro pericolosità statisticamente dimostrata. Chi volesse attraversare il corso potrà farlo portandosi davanti alla basilica di San Zeno, ammesso che riesca ad arrivarvi con i marciapiedi costantemente occupati dalle auto. In alternativa gli rimarrà sempre la possibilità di invocare il Santo patrono.
4) Eliminazione delle “isole salvapedoni” in Largo Stazione Vecchia a Parona, normalmente utilizzate in tutta Europa, ma contestate (udite, udite!) dai commercianti locali. Si offrirebbe così la possibilità ai nostrani emuli di Schumacher di dar sfogo ai propri istinti senza rischiare di rovinare l’assetto ruote.

Ovviamente si consiglia ai bimbetti costretti ad attraversare la strada di presentarsi a scuola accompagnati dai genitori, possibilmente in auto blindata.

Un ultima considerazione: la città Verona é da quest’anno membro dell’Associazione Italiana Città Ciclabili, una sorta di consorzio fra i comuni che si impegnano a promuovere e a sviluppare l’uso della bicicletta per ridurre il traffico e l’inquinamento urbano! Qualcuno finora se ne é accorto?

Massimo Muzzolon

P.S.: in rosso le parti non pubblicate da “L’Arena”.

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