Muoversi in bici a Verona: lettera di un socio
Inizio di novembre. Ruotalibera 168, il numero precedente a questo, sta arrivando nelle case dei nostri soci, e io ricevo una mail da uno di loro, non uno qualunque, un caro amico, una persona che stimo molto, un ciclista urbano storico. Decido di pubblicarla, perché forse dà voce ai sentimenti di tanti altri soci. Eccola.
Ma io sono troppo arrabbiato. Abito in Quartiere Santo Stefano. Ho utilizzato quasi sempre la bicicletta per recarmi al lavoro: prima dieci anni su Grezzana; poi altri dieci a Ponte Crencano e da dodici a Parona. Andando più indietro con la memoria, alla metà degli anni ’80, ricordo anche un anno di lavoro a Fumane, sempre in bici. Ma, oltre il lavoro, in ogni caso è ben più di mezzo secolo che pedalo per la città. Vorrei gridarlo. A Verona, per la mobilità ciclabile si è fatto veramente pochissimo, quasi sempre male, e in modo raffazzonato e frammentato. Chi pedala quotidianamente si chiede: ma chi progetta queste ciclabili (tipo le inutili e pericolose bidirezionali in centro cittadino)? Perché non vengono manutenute come si deve? Perché non vengono incrementate, neanche adesso, in piena pandemia? E qui si apre un baratro, soprattutto sulla zona nord della città. E parlo della tratta che dal Cimitero Monumentale, attraversa Veronetta, sorpassa l’Ospedale Civile e raggiunge Parona. Su questo corridoio troviamo decine di istituti scolastici di ogni ordine e grado, ospedali, cliniche, negozi piccoli e grandi, supermercati, campi sportivi, una piscina, attrattori di giovani come Mac Donald’s e tutto il tessuto di cui è formata una città. Prendiamo una via esemplare, in cui densità e congestione di traffico sono chiari a tutti: Via Mameli (ma potevo dire Piazza Isolo o Regaste Redentore o…). Che cosa è stato fatto in questi cinquant’anni, mentre il traffico privato esplodeva incontrollato? Niente, dico: NIENTE!
Si sono tracciati minuscoli brandelli, quasi inutili, di piste ciclabili “dove c’è spazio” e non “dove servirebbero”, e non si è intervenuto con fattivi interventi di moderazione del traffico; non si è riusciti a togliere le auto private dal suolo pubblico per facilitare pedoni e ciclisti nemmeno in aree di pregio straordinario (come il Lungadige San Giorgio o la balconata di Castel San Pietro); e non si parla, neanche sottovoce, di strade a senso doppio per le bici ma unico per le auto, e tanto meno di strade ciclabili (quanti concittadini sanno che cosa sono? quanti ne hanno mai vista una?) e via discorrendo. Abbiamo una amministrazione capace di fare la voce grossa contro i ciclisti che tentano di sopravvivere all’inferno di Via Mameli (vigili e multe per i “contromanisti” di Via Cesiolo), ma che non muove un dito di fronte al totale imbarbarimento veicolare davanti a scuole e parchi giochi sia in orario mattutino che pomeridiano: provate a passare alle ore 16 di fronte alla scuola elementare di Via Nievo!
Verona è pigra, gretta, grassa, miope, schiava della visione auto-centrica, incapace di una visione di lungo periodo, indifferente alla salvaguardia e valorizzazione del verde, del territorio, della sua storia; priva di una progettualità in grado di andare oltre a “tanti schei subito”. E non diamo la meritata colpa solo alle miopi, e talvolta torbide, amministrazioni che si sono succedute in questi decenni: esse sono il distillato della cultura maggioritaria degli abitanti di questa città. Ma qualcosa mi ha ulteriormente amareggiato, a settembre, alla ripresa delle scuole, nell’anno del covid. Abbandonati gli autobus causa limiti di capienza, mi immaginavo frotte di giovani – gli stessi incontrati alle manifestazioni dei Fridays for Future e delle Sardine – provenire da ogni dove e invadere le strade a piedi e in bicicletta, rivendicando con forza il diritto a una mobilità rispettosa di tutte le persone, della salute collettiva e dell’ambiente. Invece niente. Per la maggior parte, li ho visti transitare comodamente seduti nella macchina di papà, mentre io ostinato e contrario – ho continuato a pedalare, avvolto dalle prime nebbie autunnali, alzando il bavero del vecchio giubbetto catarinfrangente.
Cara Francesca, caro Corrado, pochi sogni: per la nostra amata città, un vero cambio di paradigma è una missione culturalmente impossibile. E lo sarà per molto tempo ancora.
Davide Zambelli
Sono molto colpita da ciò che Davide mi scrive, nella sua mail esprime rabbia e sconforto, sentimenti inusuali in una persona positiva e costruttiva come lui. Di certo nessuna delle puntuali osservazioni che esprime sulla viabilità ciclistica a Verona è infondata: sono più di cinquant’anni che pedala in città, come sottolinea, e non occasionalmente, bensì quotidianamente, casa-scuola, scuola-casa, anche due volte al giorno, e non solo. Insomma, Davide usa davvero la bici come mezzo di trasporto principale per i suoi spostamenti.
Rifletto sul suo messaggio e mi rendo conto che condivido le sue recriminazioni. Se lui fa riferimento alle zone di Verona che frequenta maggiormente, anch’io penso ai miei percorsi cittadini più consueti. Che dire della ciclabile bidirezionale di corso Milano, in più punti ridotta ad un metro di larghezza, in condivisione coi pedoni, per ricavare posti di sosta per le auto? E che si interrompe al canale Camuzzoni lasciandomi in balia delle file di auto in prossimità del semaforo all’incrocio con la circonvallazione Colombo-Galliano? Dove ovviamente non mi protegge nessuna casa avanzata per le due ruote, come prevederebbe la riforma del Codice della Strada… E vogliamo parlare delle promesse annunciate e non mantenute? Ve li ricordate quei manifesti “C’è pista per te!” di ormai due anni fa? Promettevano tre nuovi collegamenti ciclabili: dal quartiere Saval a San Zeno, da corso Milano alla stazione, da porta Palio a Castelvecchio, ma l’unico in corso di realizzazione è quest’ultimo. Dunque, tanta comunicazione e poca sostanza!
Ancora un’osservazione critica: in seguito all’emergenza Covid è stata allargata la zona 30 cittadina per rendere più sicura la mobilità dolce. Ve ne siete accorti? O meglio, ed è questo che interessa, se ne sono accorti gli automobilisti veronesi? Iniziativa lodevole, ma nessuna comunicazione, quindi effetto pressoché nullo: i ciclisti corrono esattamente gli stessi rischi che correvano prima del provvedimento! E infine lo ammetto, mi incavolo se penso che il tanto celebrato PUMS punta per gli anni a venire a un aumento minimale della mobilità ciclistica cittadina e una diminuzione trascurabile di quella automobilistica… ma un po’ di coraggio no, eh?
Concludendo: anch’io come Davide penso che siamo di fronte ad una “missione culturalmente impossibile”? Io preferisco definirla ardua, molto ardua: vedo scarseggiare consapevolezza, visione, competenza, eppure continuo “oniricamente” a pensare che dedicarvi le nostre energie non sia inutile. Le problematiche venute a galla in questi tempi di pandemia, la progressiva presa di coscienza che l’ambiente va difeso perché se non salviamo l’ambiente non salveremo noi stessi, l’esempio di paesi dalle politiche per la mobilità intelligenti ed efficaci che sta lentamente contagiando anche le nostre politiche nazionali… ecco questo è il bicchiere quasi vuoto che vedo lentamente riempirsi. Credo perciò che valga la pena che perseveriamo con tanta pazienza nella nostra missione di convincere amministratori e concittadini dei vantaggi individuali, sociali, ambientali di una decisa transizione verso la mobilità attiva in cui la bicicletta svolge un ruolo fondamentale.
Abbiamo forse alternative?
(da Ruotalibera 169 – gennaio-marzo 2021)