“Cervello in fuga”, Francesco Sabaini se n’è andato dall’Italia nel 2011 per fare esperienza in Svezia dove ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo di MoveByBike, una realtà della logistica in bicicletta che lassù conta circa 100 dipendenti in 5 città, fattura 5 milioni di euro all’anno ed è quotata in borsa. Dal Grande Nord è tornato di recente per esportare un modello di ciclologistica avendo le idee molto chiare su quelle che sono le potenzialità e i limiti del mezzo.
– Sabaini, il vostro sito è molto preciso: dice che trasportate fino a 200 chili e 2 metri cubi di merce. Sembra che sappiate bene come posizionarvi nel mercato della logistica…
Questa azienda ha visto nelle cargo bike più potenziale rispetto ai comuni servizi di bike messenger, ed ha pensato a mezzi diversi rispetto ai tricicli con due ruote anteriori che solitamente offre il mercato, secondo noi più adatti ad uso domestico e famigliare. Nei nostri mezzi la lunghezza del pianale di carico di Michele Marcolongo Move by bike: marchio svedese cuore veronese può arrivare fino a 1,2 metri, quindi capace di ospitare 1 pallet standard da 1,20 metri.
La normativa italiana ci limita nelle misure fino a 1,30-1,40 metri di pianale di carico, ma l’idea apre comunque a grandi possibilità dal punto di vista commerciale, nonostante diverse criticità dal punto di vista tecnico.
– Perché criticità tecniche?
Nel senso che essendo in anticipo sul mercato le bici della nostra azienda erano auto-costruite ed abbisognano di costante manutenzione. Tra il 2015 e il 2019 ne abbiamo prodotte una trentina. Sono insomma prodotti artigianali, quindi costosi in quanto tali. Mi auguro che il mercato si evolva nel senso di una maggiore diffusione delle cargo bike tale da fare abbassare i costi di produzione.
– Ma le limitazioni indotte dalla normativa italiana non rappresentano uno svantaggio competitivo?
Non necessariamente, nella misura in cui le città italiane sono molto più densamente popolate di quelle svedesi, che hanno una conformazione più “all’americana” con ampi spazi e più grandi distanze. Qui i percorsi sono massimo di 4-5 km con tante fermate intermedie. Ne consegue che su distanze più brevi il fatturato orario può risultare lo stesso anche con bici meno capienti.
– Mi scusi: perché la Svezia?
Non mi avevano pagato un lavoro ed avevo deciso che era venuto il tempo di cambiare aria. Era il 2011, avevo 27 anni, in Svezia avevo trovato un master in Gestione della Sostenibilità Urbana. Nel frattempo ho conosciuto questi due signori di Malmoe, padre e figlio, con questa idea pazza di un nuovo modello di logistica in bicicletta e mi sono messo a lavorare con loro in vari ruoli, da ultimo come direttore di filiale. Ma sono stato anche consulente di uno studio di architettura in Norvegia.
A 35 anni ho deciso che era venuto il tempo di tornare. In ragione del contributo dato all’espansione dell’azienda, operiamo in regime di licenza del marchio valorizzando il tanto know-how dietro a questa esperienza.
– Quindi lei potrà testimoniare che al Nord sono molto più avanti che in Italia?
Sì e no. Nel senso: dal punto di vista della pianificazione urbana sono sicuramente avanti di almeno 20 anni, mentre il contesto è del tutto diverso dal nostro. La piazza centrale di Malmoe ospita un grandissimo parcheggio, ma in pochi si sognano di andare in centro in macchina. Stoccolma e Goteborg hanno problemi di traffico più rilevanti ma non c’è bisogno di Ztl perché appunto la gente non ci va in macchina. E’ del resto la stessa idea di centro cittadino a non coincidere con la nostra. La gran parte delle attività là si svolgono a livello di quartiere ed è in questo contesto che anche noi svolgiamo la gran parte della nostra attività svedese.
Non si creda nemmeno che le amministrazioni locali ci abbiano accolti a braccia aperte. Certo, non ci hanno ostacolato ma nemmeno ci hanno favorito. Come già detto, quando abbiamo iniziato le bici erano tutte auto-costruite.
– Ritenete che il mercato italiano sia pronto?
Senza contare l’e-commerce c’è una valanga di lavoro generato da aziende che spediscono ad altre aziende. Noi lavoriamo quasi esclusivamente per queste per le quali trasportiamo di tutto. La quota dei lavori che svolgiamo per privati è per lo più limitata a qualche trasloco, per esempio: studi dentistici, studi di professionisti, una volta mi è capitato di trasportare un pianoforte, di quelli a muro.
– Quante persone occupa la vostra impresa?
Siamo in 4 interni più un paio di consulenti esterni. Abbiamo quattro mezzi (naturalmente elettrici) ma entro il 2023 contiamo di inserire altri due tricicli. L’azienda è stata fondata a fine 2020, da aprile di quest’anno abbiamo ingranato bene.
– Ed ecco la domanda da un milione di dollari: la bici diventerà protagonista della logistica dell’ultimo miglio in sostituzione dei furgoni?
Se il riferimento è ai grandi corrieri, bisogna dire che l’accessibilità dei centri storici è tema che va ben oltre la questione della cargo bike. Soprattutto in contesti urbani ad altissima densità abitativa come i nostri, razionalizzare la consegna merci necessita di tutta una serie di infrastrutture di supporto (come micro-magazzini ma anche app di tracciamento) finalizzate a rendere meno traumatica la cosiddetta rottura di carico. L’ultimo miglio assorbe fino al 50% dei costi del viaggio. Ma serve anche una normativa sulle zone a traffico limitato molto più stringente.
– Ma un furgone elettrico che inquina meno e trasporta di più di una bici, non sarà sempre in vantaggio?
In realtà quello dell’inquinamento diretto è un falso problema. Quando si parla di mobilità sostenibile si valuta anche lo spazio occupato dai mezzi e in questo senso la bicicletta fornisce un indubbio vantaggio. Il vero problema riguarda piuttosto la marginalità. I grandi corrieri potrebbero già adesso passarci tonnellate di merci ogni giorno ma se la remunerazione del nostro servizio non è in linea con le loro previsioni di costi, il gioco non vale la candela.
Per informazioni e contatti: info@movebybike.it.
(da Ruotalibera 177 – gennaio-marzo 2023)