Mobilità virale
Sembrano passati anni e anni, invece solo un anno e mezzo fa eravamo chiusi in casa e per muoverci dovevamo inventarci di tutto.
Noi che della mobilità alternativa e dolce ci facciamo vanto da sempre, avevamo imparato a camminare in casa facendo percorsi a zigzag, a otto o in tondo ed evitando i mobili (non sempre…) per accumulare chilometri, ovviamente con le finestre aperte.
I più fortunati, possessori di un garage capiente o di un cortile, grazie al suggerimento geniale di Enzo Rossi, si sono costruiti un rullo fai da te per pedalare ascoltando la radio. C’è stato il boom di vendita delle biciclette e sui sentieri, di pianura, di collina e di montagna, appena “aperte le gabbie” si sono riversate torme di divanisti accaniti.
“Niente sarà più come prima”, “Ne usciremo migliori”, erano slogan usati e abusati. È vero che non ne siamo ancora usciti, anche se facciamo finta di sì, quindi non possiamo ancora trarre conclusioni affrettate, ma se il buon giorno si vede dal mattino, la pandemia andandosene (speriamo presto) lascerà dietro di sé solo una scia di conseguenze negative dovute al virus.
Quanto a cambiare in meglio i nostri comportamenti, mi permetto di coltivare più di un dubbio. Nei giorni scorsi sono dovuto andare in centro, per accompagnare degli amici friulani in una visita ai monumenti e poi in stazione. Tre quarti d’ora di auto per andare da Porta Nuova a Montorio, sempre in coda, in un traffico caotico e schizofrenico, con i soliti furbi che fanno lo slalom per guadagnare qualche posizione nella colonna quasi immobile, mi hanno fatto ricordare il motivo principale che mi spinse, quasi quarant’anni fa, ad andare al lavoro in bicicletta.
Non bastano due mesi di quarantena forzata per convincere le persone a lasciare le abitudini dannose, per sé e per la comunità, e ad adottarne di migliori.
(da Ruotalibera 172 – ottobre-dicembre 2021)