Le terre dei draghi (quelli finti e quelli veri)
“Le terre dei draghi” allude a due leggende, completamente inventate, che uniscono Cracovia, la città polacca dalla quale abbiamo iniziato a pedalare, e Brno, la meta finale in Repubblica Ceca. I draghi veri, quelli cattivi, invece li abbiamo incontrati visitando i campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz e Birkenau e il carcere dello Spielberg, sulla collina di Brno.
È dura arrivare a Cracovia in pullman con carrello al seguito, viaggiando di notte, ma con un autista come Paolo, sempre sorridente e disponibile, e grazie alle opportune soste si supera brillantemente questo primo scoglio.
Cracovia è bella, si sapeva, ma l’impatto diretto è superiore ad ogni aspettativa. Peccato aver avuto così poco tempo da dedicarle. Da grande dovrò tornarci. Che sia stata l’antica capitale della Polonia non si fatica a capirlo. Dalla zona più antica del castello alla spettacolare piazza centrale, passando per scenografiche vie e piazze minori, la città si rivela all’altezza delle principali mete turistiche europee. Si aggiunga che è ancor oggi la capitale culturale della Polonia, che è pulitissima, che il centro storico è attorniato da una fascia verde continua (e ciclabile) che lo difende dall’assalto del traffico e che è stata la sede vescovile di Papa Wojtyla e si capirà perché è la città più turistica dell’intera Polonia. Ma il valore aggiunto deriva dal fatto che, contrariamente a Varsavia e a tante altre città dell’Europa centrale, Cracovia non ha subito alcun bombardamento durante la seconda guerra mondiale.
Si lascia Cracovia a malincuore e si segue la pista ciclabile per Auschwitz. Avete inteso bene: pista ciclabile, lunga, ben tenuta e affollata pista ciclabile che affianca per buoni tratti la Vistola. Usciti da Cracovia è difficile trovare centri abitati di qualche entità, soprattutto è difficile trovare servizi per ciclisti assetati e affamati, ma ce la facciamo. Arriviamo ad Auschwitz dove, a dispetto del nome e della nomea della città, troviamo un’ottima sistemazione. Il giorno seguente un gruppo sceglie di visitare i campi di sterminio, un altro, dopo una commemorazione rituale agli ingressi dei due campi, decide di proseguire in bicicletta per Cieszyn, città di frontiera con la Repubblica Ceca.
La giornata si snoda tra laghi, boschi e paesini, a parte la sosta pranzo in una cittadina dal nome impronunciabile, quasi totalmente in ciclabile, anche se a tratti il fondo di lastroni di cemento mal connessi mette a dura prova il nostro fondo schiena. La salitina finale è il preludio a quanto ci attende in Repubblica Ceca.
Il confine tra le due Repubbliche è costituito da un fiume e proprio sul ponte un tempo c’erano le due dogane. In realtà Cieszyn era un’unica città a cavallo del fiume, divisa nella prima metà del novecento tra le due nazioni. Oggi la parte ceca si chiama Český Těšín. Per fortuna, con l’avvento dell’Europa Unita, non esiste praticamente più alcuna barriera. Finché dura. Le tre tappe in Repubblica Ceca sono più toste, fatte di saliscendi continui con qualche rampa impegnativa. Il pullman al seguito dà un valido supporto a chi (temporaneamente…) si trova in difficoltà. Ma il percorso è interessante sia per il paesaggio attraversato, che per le città visitate. Siamo nel cuore dell’Europa medievale e moderna, per un periodo anche sede dell’Imperatore del Sacro Romano Impero e le città lo stanno a dimostrare. La prima tappa ceca si conclude a Kopřivnice, la città industriale sede della fabbrica di auto e automezzi pesanti Tatra e luogo natale del famoso mezzofondista Emil Zatopek. Ma prima passiamo dalla “doppia” città di Frýdek-Místek e da Příbor, in tedesco Freiberg, città natale di Sigmund Freud, di cui visitiamo la casa museo.
Innumerevoli discese (!?!) e un bel tratto della famosa pista ciclabile lungo la Bečva ci portano, attraverso cittadine e piazze godibilissime, a Olomouc, prima, e infine a Brno. Oltre alle bellezze architettoniche e artistiche, queste città sono importantissime per la storia della Repubblica Ceca e dell’Europa intera, di cui Boemia e Moravia, a cavallo tra il Medio Evo e l’età moderna, furono il centro politico.
Qui partirono anche le prime riforme protestanti, con gli hussiti, i seguaci di Jan Huss (Giovanni Oca…). Olomouc, fondata dai Romani ma sviluppatasi dopo il mille, fu importante capitale della Moravia e centro religioso. Oggi è la città universitaria Ceca per eccellenza. Patrimonio dell’Unesco, deve la sua notorietà alle sue deliziose piazze barocche e alla celeberrima colonna della Trinità.
Brno è la capitale riconosciuta della Moravia e rivaleggia con Praga per importanza politica e storica. Interessante da visitare il museo di Mendel, presso l’abbazia agostiniana di San Tommaso, dedicato agli esperimenti del frate biologo che rivoluzionarono la genetica. Ma Brno è conosciuta dagli italiani per altri motivi. La maggior parte l’associa al circuito motociclistico internazionale, ma non sono pochi, noi tra questi, che ricordano anche lo Spielberg, la famosa fortezza in cui furono rinchiusi numerosi patrioti italiani, tra cui Silvio Pellico, che qui scrisse “Le mie prigioni”.
Anche se la vacanza è stata piacevolissima (nonostante le troppe discese…), non abbiamo dimenticato il motivo che ci ha portati a pedalare tra questi due territori europei, cioè il ricordo dei tanti martiri, da Auschwitz a Brno, passando per il campo di battaglia di Austerlitz. Per meditare sulle conseguenze tragiche che accadono inevitabilmente quando l’Europa si divide, anziché unirsi sempre di più.
(da Ruotalibera 162 – aprile-giugno 2019)
La domanda: “Ditemi, dov’era Dio, ad Auschwitz?”
La risposta: “E l’uomo, dov’era?” (William Clark Styron)
Lunedì 9 Luglio 2018. La ciclo-vacanza di quest’anno, nei territori di Polonia e Repubblica Ceca, ci ha fatto vivere un profondo momento di raccoglimento durante la visita ad Auschwitz-Birkenau, il più grande campo di concentramento nazista.
Non è facile ma è sicuramente doveroso parlarne. Costruito per sterminare gli ebrei, vi morirono anche soldati fatti prigionieri, zingari, avversari politici… All’ingresso svetta ancora sinistra la famosa scritta: “Il lavoro rende liberi”: una beffa che i nazisti riservavano a chi entrava non certo per lavorare ma per morire asfissiato da gas mortali o dopo indicibili sofferenze. Tra questi edifici, tra le baracche circondate da filo spinato regna ancor oggi un’atmosfera irreale, angosciante: come è stato possibile concepire di eliminare, letteralmente, un milione e mezzo di esseri umani in nome della cosiddetta “Soluzione Finale della questione ebraica”?
La guida ci accompagna attraverso un percorso della memoria fatto di atrocità: prigioni in cui in meno di un metro quadrato venivano chiuse quattro persone, teche con montagne di capelli usati per la tessitura, scarpe a migliaia, cumuli di valigie di cartone, pettini, occhiali… Tutti oggetti inerti, inanimati che urlano al mondo di aver fatto parte della vita personale di donne, uomini e bambini veri. Una mostruosità quotidianità fatta di fame, torture, lavoro forzato, malattie, camere a gas… per lasciare poi il posto al nulla, all’assenza, alla scomparsa di un’umanità bruciata nei forni crematori e che ci viene spontaneo cercare dietro qualche nuvola in questo cielo che rimane di un azzurro disarmante. L’emozione è forte, ogni tanto ci guardiamo tra compagni di viaggio, in silenzio, parlare cosa servirebbe? i sentimenti sono gli stessi. E pensare che oggi c’è chi nega che tutto questo sia accaduto: dovrebbe spiegarci dove sono tutti quelli che non sono mai ritornati. Bisogna venire ad Auschwitz per vedere, ascoltare, pensare. E per capire, fino in fondo, l’orrore che l’umanità può toccare, anche se la storia sembra non essere maestra. Questo luogo, come ha definito la nostra guida, è il più grande cimitero del mondo. Con una particolarità evidente: non esistono tombe su cui pregare o corpi sepolti sui quali piangere o lasciare un fiore. Ogni anno, il 27 gennaio, in memoria di quel giorno del 1945 in cui l’Armata Rossa aprì i cancelli, si svolge una cerimonia per riflettere, per non dimenticare le vittime innocenti e per far sì che tutto questo non si ripeta.
Un impegno che sentiamo forte, mentre riprendiamo a pedalare, lenti, tra cittadine pittoresche e immersi nella bellezza della campagna polacca carica di frutta e di colori.
di Stefano Cieno