Racconti di viaggio

La prima valle non si scorda mai

La Val di Fassa in bici e a piedi

Erano 41 anni che non facevo una vacanza in Val di Fassa e 55 ne erano passati dalla prima volta che l’avevo vista rimanendone incantato. Ed erano passati due anni dall’ultima ciclovacanza, quella lungo il Po. Cresceva la nostalgia per le settimane passate a pedalare sulle ciclovie europee, ma la pandemia questo ci consentiva e questo bisognava farsi piacere.

Detta così, sembra l’inizio di una specie di Via Crucis. Invece è stata una vacanza di tutto rispetto e di grandi soddisfazioni, all’insegna dell’intermodalità sostenibile: bici+treno+scarponi. L’occasione è arrivata dall’invito di una coppia di amici ad andare in Val di Fassa per una breve vacanza. Convinti da me e Renata a provare il cicloturismo e agevolati dal passaggio (obbligato) alla pedalata assistita, hanno pensato che questa fosse l’occasione giusta. L’eccitazione normale della partenza si aggiunge, la mattina del 22 agosto, al terrore della neofita Agnese di non trovare posto per le bici sul treno che da Verona ci porterà a Egna.

Arriviamo in stazione con ampio margine di anticipo, tanto che il treno non c’è ancora. È in regolare ritardo. Inganniamo l’attesa chiacchierando con altri due ciclisti della nostra zona, che però scenderanno a Rovereto per tornare indietro. L’ansia aumenta per l’arrivo di altri ciclisti, tra cui una giovane coppia che, grazie allo scatto più pronto, potrebbe occuparci i posti bici. Riusciamo a salire e a caricare tutte le bici, anche in eccedenza al numero legale, grazie alla benevolenza del Capotreno. Che sia un cicloturista anche lui?

Adesso possiamo rilassarci. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo e, soprattutto, abbiamo tutto il treno a nostra disposizione. Infatti, l’unico scompartimento occupato è il nostro, formato esclusivamente di cicloturisti che si contendono i pochi spazi a disposizione per le bici. Meditate Trenitalia, meditate!

Tunnel ciclopedonale ex-ferrovia Egna-Cavalese
Tunnel ciclopedonale ex-ferrovia Egna-Cavalese

La ciclovacanza è cominciata bene, ma proseguirà meglio, con qualche piccolo intoppo. Scesi a Egna, tanto per dire, dovremmo imboccare la pista ciclopedonale ricavata dal sedime dell’ex ferrovia della Val di Fiemme, ma riusciamo a perderci, grazie al mio GPS. Pochi chilometri di provinciale e poi ci rimettiamo sulla retta via. La ciclopedonale è veramente deliziosa, con le sue pendenze dolci, le gallerie illuminate e i boschi ombrosi. Ha un unico difetto: andando in su è tutta salita e, nonostante la pedalata assistita, non dà tregua. Ci consola l’idea che al ritorno sarà tutta discesa.

Dopo la pausa pranzo nei boschi che hanno subito danni limitati ma visibili da Vaia, arriviamo a Cavalese. Qui, però, ci fidiamo un po’ troppo della segnaletica, che ci fa scendere a precipizio nella vallata, fino al torrente Avisio, con conseguente risalita. La stanchezza comincia a farsi sentire. Giunti a Moena facciamo sosta davanti all’Ufficio del turismo per ricaricare le batterie quasi esauste. Ci aspettano ancora circa 13 chilometri di salita, di cui gli ultimi due con pendenza da scivolo condominiale. Agnese è preoccupata, perché la sua batteria è molto lenta a ricaricarsi e teme di restare a piedi. Gianfranco la rincuora, Renata e io gli diamo man forte.

Pedoni indisciplinati verso Pozza
Pedoni indisciplinati verso Pozza

Tra Soraga e Pozza dobbiamo dare la precedenza ad un allegro gregge di capre. Aveva ragione Agnese: negli ultimi 300 metri la batteria si spegne e deve spingere la bici fino alla casa, dove, ovviamente ci rinfaccia il nostro ottimismo da quattro soldi. Ma in fondo che importa? Siamo arrivati in un posto incantevole, con le Dolomiti tutto intorno e con la prospettiva di visitare la valle in lungo e in largo, alternando la bici e gli scarponi.

Così sarà: in bici costeggeremo l’Avisio risalendone il corso fino ad Alba di Canazei, ai piedi della maestosa Marmolada, che non vedevo così da vicino da cinquant’anni. Andremo anche in Val San Nicolò, da Pozza di Fassa, con l’idea di raggiungere le cascate, ma le condizioni dello sterrato finale ci sconsigliano di arrivarci. Vediamo, invece, la devastazione della tempesta Vaia, con le cataste di tronchi a bordo strada e le vaste distese di abeti sradicati.

Facciamo anche diverse passeggiate nei dintorni della casa, ma la passeggiata degna di tal nome è quella che ci porta sul Catinaccio, da Gardeccia al rifugio Vajolet e ritorno a Muncion. Il sentiero di cinquant’anni fa è diventato una comoda strada e gli escursionisti sono decuplicati, ma il paesaggio è uno dei più belli delle Dolomiti e forse anche d’Italia. Anche il pranzo fuori dal rifugio è più che onorevole. Sarà l’aria.

Tutto ha fine e così iniziamo il ritorno. Tutto in discesa. No, non proprio. Il fondo valle è segnato dall’Avisio che, come tutti i torrenti, non si fa intimorire da rapide e salti e segue la via più rapida nella sua corsa verso l’Adige. La ciclabile, invece, è a saliscendi e con un percorso per niente lineare. Il paesaggio, in mezzo a prati e boschi, è molto riposante. A Soraga mi viene concesso un quarto d’ora per cercare la casa dove passavo le ferie tanti anni fa con gli adolescenti della mia parrocchia. L’emozione è forte, ma dura poco.

Oggi seguiremo il corso dell’Avisio e dalla Val di Fassa passeremo alla Val di Fiemme, per poi lasciare la ciclopedonale e prendere la provinciale della Val di Cembra. Si tratta di una strada a traffico molto ridotto e molto larga. A lato, oltretutto, ha una banchina asfaltata che assomiglia ad una corsia ciclabile.

Nel primo pomeriggio arriviamo a Lavis e saliamo sulla ciclabile dell’Adige. Abbiamo deciso di arrivare a Mori, approfittando del vantaggio datoci dalla lunga discesa, per poter concludere il viaggio in tranquillità il giorno seguente.

Verso il rifugio Gardeccia
Verso il rifugio Gardeccia

In prossimità di Mori dei nuvoloni minacciosi ci costringono a pedalare senza risparmio, mettendo a dura prova il soprasella. A pochi chilometri dall’arrivo Verso il rifugio Gardeccia dobbiamo fermarci. Le gocce si fanno sempre più insistenti. Indossiamo gli spolverini impermeabili e ripartiamo. Dopo un paio di chilometri siamo costretti a fermarci di nuovo. Non piove più e siamo più bagnati dal sudore che dalla pioggia. Alla fine il contachilometri segnerà 132.

Le camere sono in un edificio storico (ex fabbrica di calzature) in pieno centro. Bella sistemazione e bella accoglienza. Andiamo in pizzeria, all’aperto, sotto grandi ombrelloni, e facciamo appena in tempo a finire la cena prima che il temporale si scateni.

L’ultima tappa prevede 70 chilometri senza alcuna difficoltà, tranne la salita a Rivoli. A me, Gianfranco e Renata viene l’insana voglia di avventurarci sulla Sdruzzinà, per arrivare a Montorio passando dal Passo Fittanze. Ma Agnese, scottata dall’esperienza dell’andata è irremovibile. E allora si va tranquilli lungo l’Adige, con una bella sosta in un agriturismo vicino a Rivoli.

Renata ed io abbiamo pedalato per mezza Europa e soffriamo un po’ di nostalgia, ma in tempi di pandemia un viaggio in Italia come questo non è certo da scartare. E per i nostri due amici è stato un battesimo cicloturistico entusiasmante.

E il prossimo anno? A virus piacendo potremmo coronare il vecchio sogno dei castelli della Loira, con destinazione Versailles, a trovare la figlia di Agnese e Gianfranco.

(da Ruotalibera 173 – gennaio-marzo 2022)


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Bepo Merlin

Giuseppe Merlin, per tutti Bepo, ciclista urbano e appassionato cicloturista, va in bici da sempre, ma più convintamente da quando, a seguito del primo infarto, il medico gli ha detto di essere in debito della vita nei confronti della sua due ruote. Da allora si spende senza risparmio per la promozione della ciclabilità, in veste di socio-attivo e animatore di uscite e serate culturali. È stato anche Direttore di FIAB nazionale (succedendo all'indimenticato Gigi Riccardi e prima dell'attuale Francesco Baroncini), lasciando di sè un bellissimo ricordo in tutti coloro che hanno avuto il piacere di incontrarlo e conoscerlo, durante una delle sue molte "visite pastorali" in giro per le varie associazioni d'Italia. Tuttora collabora con FIAB Verona in mille forme e con mille strumenti, tra i quali spicca la penna, la sua "arma segreta", che Bepo maneggia con destrezza e rara efficacia. Chiunque legga i suoi scritti, infatti, non può non apprezzarne l'onestà intellettuale e la lucidità di analisi. Da tempo immemorabile tiene la sua personale rubrica "El cantòn del Bepo" nell'ultima pagina della rivista Ruotalibera, di cui è stato per anni capo redattore, riorganizzandola nella veste e nei contenuti così come la vediamo oggi. È stato anche tra i promotori e forti sostenitori della rivista nazionale BC, importante mezzo di comunicazione per le associazioni FIAB italiane e indispensabile organo di diffusione del miglior "ciclopensiero".
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