La Moldava scorre in discesa (2)

Questo articolo è la seconda parte di un racconto, la prima parte puoi trovarla qui.
L’appartamento è in un palazzo a poco più di trecento metri dal Ponte Carlo. Sistemiamo le biciclette in un box di un garage per auto e saliamo a fare la doccia. Sono quasi le nove di sera quando andiamo in cerca della birreria U Flecu.
L’atmosfera è quella giusta: musiche popolari boeme suonate da artisti in costume, luce soffusa, arredamento in legno tipico delle birrerie, cibo abbondante, birre all’altezza della fama e bicchierino finale di becherovka. Gli unici nei sono il prezzo, elevato rispetto ai prezzi medi dei ristoranti praghesi, e l’orario di chiusura, per noi troppo presto, vista l’ora tarda del nostro arrivo. Ma tutto il male non viene per nuocere: non vediamo l’ora di andare a letto, dopo il tappone di oggi. E ci andiamo volentieri, non prima di aver commentato con frizzi e lazzi l’arredamento osé della camera da letto, tutta specchi e tappezzerie rosse.
Il mattino siamo belli freschi e riposati. Si va a piedi a zonzo per una delle più belle capitali europee. Ma prima dobbiamo adempiere ad un rito irrinunciabile: il pellegrinaggio alla lapide che ricorda il sacrificio di Jan Palach. Piazza Venceslao è un lungo rettangolo, una specie di grande corso alberato. Lo percorriamo tutto da sud a nord frugando con gli occhi, già lucidi per il ricordo di quel giorno triste della nostra adolescenza, in cerca della modesta lapide sommersa di fiori, oggetti ricordo e lumini. Già sento il groppo prendermi alla gola. Grande è la delusione: non riusciamo a trovarla. Forse le autorità hanno pensato di rimuoverla o forse, semplicemente, non abbiamo cercato bene. Ignominiosamente, affoghiamo il dispiacere facendo colazione in un minuscolo bar installato in una vecchia carrozza del tram parcheggiata di traverso alla piazza.

Poi ci tuffiamo tra la folla di varia umanità che scorre come un fiume, lento ma inesorabile, che invade le strade medievali e rinascimentali dell’antica capitale boema. Rimaniamo incantati dallo splendore della piazza vecchia, dalla cattedrale incastonata tra le case e i palazzi, dal nero monumento a Jan Huss, lo sfortunato (e un po’ sprovveduto) riformatore religioso, e aspettiamo a testa in su l’apparire delle statue mobili dell’orologio della torre allo scoccare dell’ora.
Siamo infastiditi dal turismo di massa che stiamo contribuendo ad alimentare. Attraversiamo il ponte Carlo che attraversa una Moldava larga e maestosa, zigzagando tra venditori di ricordi, suonatori di jazz, spacciatori di materiale trafugato all’armata rossa. Saliamo al Castello, sulla collina al di là del fiume e percorriamo la dolce via crucis del turista tipo, discendendo al fiume attraverso la celeberrima Via dell’oro.
Pian piano viene di nuovo sera. Finiamo in bellezza in un ristorante vicino a casa, frequentato solo da avventori del luogo. Riusciamo a trovare qualcosa di equivoco anche in alcune clienti di bell’aspetto, ma il trattamento è da grande ristorante: ottimo servizio e piatti diversi dalla media dei ristorantini per turisti. Il prezzo è strepitoso: meno della metà della sera precedente. La becherovka è un gentile omaggio della casa.

Dopo il giorno di riposo, come da tradizione, il giro riprende con grande slancio. Talmente grande che, presi dalla determinazione e dalla velocità, finiamo per imboccare un’autostrada. Per fortuna ci fermiamo sullo svincolo d’accesso e ne usciamo, rocambolescamente, scavalcando il guard rail e trasportando a scivoloni le biciclette giù dalla ripida scarpata.
Non ci par vero di essere tornati su una ciclabile. Il paesaggio è finalmente e realmente dolce. Solo la salita al castello di Karlštejn è impegnativa, ma diventa più sopportabile grazie alla sosta per raccogliere le susine selvatiche a bordo strada. Del resto, il castello è una meta irrinunciabile, anche se eccessivamente aggredito dal turismo di massa. I suoi bastioni poderosi e le sue torri si ergono con severa bellezza sul territorio circostante e la loro vista ci segue per diversi chilometri.
Ora siamo lungo una strada secondaria e ci facciamo prendere dall’euforia: per chilometri non incontriamo una sola automobile, solo fattorie ben tenute, oche, anatre e cicogne nei campi. Procediamo come palmipedi ubriachi occupando tutta la strada. Fatalmente commettiamo il secondo errore di valutazione.
Ciondolando arriviamo nel pomeriggio a Přibram, una cittadina mineraria di scarso interesse turistico. All’albergo più dignitoso della città ci rifiutano palesemente le stanze. Il nostro abbigliamento e gli effluvi che si spandono dai nostri corpi sudati non sono un buon biglietto da visita. Ci facciamo prendere dall’ansia: la città non ha molti posti letto. Gironzolando con gli occhi spalancati per vedere l’insegna di eventuali alberghi, ci imbattiamo nell’hotel Asia. Niente a che vedere con il primo hotel. Qui la nostra condizione di viandanti dall’aspetto dimesso produce l’effetto opposto: non solo ci danno le stanze per tutti (anche se la qualità delle stesse non è eccelsa) ma ci fanno sistemare le biciclette al sicuro, in una stanzetta accanto alla cucina. Il ristorante è cinese – avremmo dovuto capirlo dal nome dell’albergo –, ce n’accorgiamo quando già siamo a tavola. La nostra educazione cattolica ci impedisce di alzarci e uscire. Per fortuna il menu contempla anche piatti boemi.

La mattina seguente, onde evitare l’agitazione del giorno prima, chiediamo alla cortesissima impiegata dell’hotel Asia di prenotarci un albergo a Vimperk, una località turistica ai piedi della Šumava, la Selva Boema, meta della tappa. Partiamo, quindi, soddisfatti e tranquilli, totalmente ignari della dura prova che ci attende. Questa sarà una tappa dura, quasi tutta in salita e l’ultimo tratto non ci darà tregua. La catena montuosa, che separa il bacino del Danubio da quello della Moldava, non è certamente paragonabile alle Alpi o agli Appennini, visto che le sue cime più elevate non arrivano a 1500 metri di altezza. Ma in bicicletta tutto è relativo e le salite sono sempre salite, specialmente quando ci si porta appresso il bagaglio.
Prima di affrontare la salita facciamo una digressione dal percorso stabilito per andare a Blatná, un paesino celebre per il castello, che sembra galleggiare sull’acqua dello stagno che lo circonda. Ancora una volta, presi dall’incanto della visione idilliaca, cincischiamo e perdiamo tempo prezioso. La tappa meriterebbe maggior impegno. Riprendiamo il cammino e ci rendiamo conto ben presto di essere in ritardo sulla tabella di marcia.
A Strakonice mancano ancora trenta chilometri all’arrivo e siamo già abbastanza stanchi. Ma proprio adesso comincia il bello. La strada comincia a salire senza concederci alcuna pausa e, sopra al conto, siamo su una provinciale abbastanza trafficata. Non ci sono alternative praticabili. Nel gruppo cominciano i malumori. E’ l’ora della crisi nel giorno della crisi: il momento più temuto da ogni organizzatore di ciclovacanze. Ti senti assalito e schiacciato dai muti rimproveri che ti vengono dalle espressioni accusatorie dei tuoi compagni di viaggio.
Fortunatamente anche questa tappa, come tutte le altre, finisce. Abbiamo l’albergo già prenotato e, pur di goderci il meritato riposo, accettiamo senza battere ciglio di essere ospitati in una struttura fatiscente e bisognosa di un radicale restauro. Ci sono le docce e i letti. Questo è sufficiente a toglierci di dosso il sudore e la fatica. Una buona cena in un tipico locale di Vimperk, contribuisce efficacemente a farci archiviare la fatica del giorno trascorso e a farci andare a letto senza conti in sospeso.
L’ultima tappa di ogni vacanza suscita, sempre, sentimenti di forte ambiguità: l’entusiasmo che deriva dal prossimo ritorno a casa, dopo giorni e giorni trascorsi a pedalare in terre ospitali ma pur sempre straniere, si scontra con la tristezza per la fine della vacanza.

Lasciamo Vimperk guardando all’indietro, poi puntiamo decisi verso la Selva Boema. Stiamo percorrendo la strada che un tempo, nel Medio Evo, era il sentiero del sale. Proprio lungo questo sentiero venne fondata, nel quattordicesimo secolo, la città di Prachatice, che attraversiamo dopo aver pedalato per una ventina di chilometri. Sostiamo pigramente nella piazza, attorno alla fontana, assistendo in diretta ad una chiassosa litigata di una coppia gitana.
Tutt’intorno alla piazza fanno bella mostra di sé i palazzi rinascimentali dalle facciate color pastello decorate da interessanti graffiti. Quasi un museo all’aperto. Visitiamo, poi, l’austera cattedrale gotica che domina la città antica. A malincuore ripartiamo.
La strada ricomincia a salire, ma l’assenza di traffico rende il nostro pedalare molto meno faticoso del giorno precedente. Arrivamo a Smĕdeč, quattro case all’incrocio di altrettante strade su un altopiano. Siamo assetati e affamati per lo sforzo della salita. Non vediamo negozi. Oltretutto l’orario rende molto improbabile la possibilità di trovarli aperti. All’improvviso ecco uno spiraglio di salvezza: un bar per ciclisti. Ma sembra deserto. Finalmente il gestore arriva. Stava tagliando la legna nella corte vicina. Chiediamo qualcosa da mangiare e da bere. Ci apre il frigorifero e ci mostra le provviste, poche, dietro il banco. Facciamo razzia e ci sistemiamo sotto gli ombrelloni del prato a improvvisare una allegra bisboccia.

Difficile riprendere la strada. Ma il peggio è passato. Ora comincia la lunga discesa verso Český Krumlov. La bella strada alberata è poco trafficata. Scendiamo veloci, attraversando boschi e prati che sembrano pettinati. Nei pressi di Kàjov raggiungiamo il fondovalle. Ora siamo su una strada di grande traffico, ma Český Krumlov è a pochi chilometri. Ci fermiamo per dare sollievo ai soprassella e per ricompattarci. Ingurgitiamo le ultime barrette e diamo fondo alle borracce. L’arrivo all’hotel Vltava non è epico, ma ci da molto sollievo ritrovare il pulmino di Fausto ancora al suo posto e poter contare sulla sicurezza delle stanze prenotate.
Dopo la doccia rituale (e doverosa), scendiamo in città. Ci sono le ultime formalità da sbrigare. Acquistiamo giocattoli per figli e nipoti e souvenir per parenti ed amici. Poi cerchiamo un locale tipico, che non sia una mezza fregatura come quello della prima sera. Troviamo un localino, decisamente tipico, sulle rive della Moldava. I gestori sono giovani e simpatici. Uno di loro parla un po’ d’italiano e ci spiega, con pazienza, tutte le leccornie che si accalcano nell’immenso vassoio in centro tavola. La birra fa da ottimo lubrificante. Si finisce con l’immancabile becherovka.
Torniamo in centro: la piazza principale dell’incantevole cittadina, patrimonio dell’Unesco, è invasa da turisti di ogni parte del mondo. I negozi sono presi d’assalto dalle orde dei vacanzieri. Noi siamo tra questi. Finiamo, indecorosamente, a dar spettacolo con la cicogna di legno appena acquistata, a favore di una nutrita schiera di maturi turisti tedeschi. Le signore sono particolarmente divertite dall’inimitabile Sergio, in piedi sulla panchina, tutto preso a far muovere le ali al pennuto portatore di pargoli.
(da Ruotalibera 183 – settembre-dicembre 2024)
Il viaggio è di circa vent’anni fa, quando non si usavano ancora i navigatori satellitari.
Su richiesta di un lettore, ho ricostruito un percorso possibile, ma vi consiglio di rivolgervi all’ente turistico della Repubblica Ceca
I tappa: Cesky Krumlov-Pisek
II tappa: Pisek-Praga
III tappa: Praga-Přibram
IV tappa: Přibram-Vimperk
V tappa: Vimperk-Cesky Krumlov