La Moldava scorre in discesa (1)
“La Moldava scorre in discesa, quindi seguendo la Moldava noi arriveremo a Praga senza fatica, in due tappe di circa settanta chilometri”. Con questa brillante argomentazione tento di convincere gli amici a seguire me e mia moglie nella vacanza in bici attraverso la Boemia. Pare che il mio ragionamento abbia convinto gli interlocutori. Solo Sergio scuote la testa guardando la carta geografica aperta sul tavolo: ”Caro il mio moretto, qui c’è marrone e a scuola mi hanno insegnato che dove c’è marrone c’è montagna, quindi ci sono salite”. Solo a vacanza terminata ricorderò che un’altra volta i miei studi di cartografia mi ingannarono. L’acqua, infatti, procede sempre in discesa, ma non si ferma di fronte ad alcun ostacolo: salta, scava canyons, supera rapide. Le strade, al contrario, per essere praticabili dall’uomo, sono costrette a prendere ampi giri e, spesso, a scavalcare colline o montagne. Sul momento, tuttavia, le riserve rozze ma assolutamente fondate di Sergio vengono superate dall’entusiasmo degli altri candidati alla vacanza.
Così partiamo baldanzosi con bici e bagagli stipati nel pulmino di Fausto. Attraversiamo il Friuli, poi l’Austria e nel pomeriggio arriviamo in Boemia da sud. Il tempo di visitare l’abbazia di Vyssi Brod e il castello di Rožmberk e siamo a Český Krumlov. La cittadina è su di un’ansa ad “U” della Moldava, infossata tra alte colline, dominata da un poderoso castello. Český Krumlov ha chiara impronta tedesca. Ciò si spiega con il fatto che, poco dopo la sua fondazione, avvenuta alla fine del 1200, divenne proprietà dei Rosenberg e poi, via via di altri signori austriaci o tedeschi. Solo dopo il 1918 fu assegnata alla Repubblica Cecoslovacca. Annessa alla Germania nazista dal 1938 al 1945, ridivenne cecoslovacca alla fine della guerra e la popolazione tedesca, che rappresentava l’80% della cittadina, fu espulsa. Dopo un periodo di trascuratezza, ai tempi della guerra fredda, è stata recuperata all’antico splendore a partire dagli anni novanta. Ora è, a pieno titolo, patrimonio mondiale dell’Unesco. C’è da perdersi nelle sue viuzze medievali e nella piazza contornata da coloratissimi edifici rinascimentali e barocchi, di quel barocco leggero e festoso dell’Europa Orientale.
Troviamo posto per la notte in un ampio e dignitoso albergo dell’epoca del socialismo reale, nel parcheggio del quale sistemiamo il pulmino. Prenotiamo anche per l’ultima notte, così non avremo, almeno per un giorno, l’ansia da alloggio. Ceniamo in riva al fiume. È il primo approccio alla cucina boema. Non esaltante, per altro: l’anitra che ci servono probabilmente è morta di vecchiaia. Il giro notturno della città ci consola ampiamente della delusione patita al ristorante.
Eccoci pronti all’avventura. Di buon mattino carichiamo i bagagli sulle biciclette e partiamo costeggiando la pigra Moldava. Poco più di un chilometro dopo la partenza, il percorso ciclabile s’inerpica su una ripida rampa che ci costringe a spingere le biciclette raspando con i piedi sull’asfalto. La tetra profezia di Sergio prende corpo all’improvviso: non sarà una vacanza pianeggiante. Ora la strada diventa più dolce, ma sarà tutto un saliscendi, fino a sera. La mente umana ha dei limiti, la mia in particolare, e l’automobile falsa la percezione del paesaggio. Dieci anni fa, al ritorno da un viaggio automobilistico in Cecoslovacchia, avevo descritto questi luoghi come “leggermente ondulati”. La bicicletta restituisce il paesaggio alla realtà: questi luoghi sono ondulati, decisamente ondulati e questo si traduce in fatica e sudore. Si traduce anche in un fastidioso ronzio alle orecchie: sono le lamentele delle donne, che si sentono tradite dall’organizzatore, unite alle affermazioni soddisfatte di Sergio (l’avevo detto, io!).
Per mia fortuna il percorso attraversa luoghi che deliziano gli occhi. Vediamo villaggi che finora avevamo solo immaginato, leggendo ai nostri bambini le storie incredibili dell’est Europa: case col tetto di paglia, stagni, boschi e grandi alberi solitari, stormi di oche e di anatre. Ecco České Budějovice, coloratissima città barocca dalla grande piazza quadrata, patria del musicista Antonín Dvořák e della birra Budweiser, cosiddetta dal nome tedesco della città, Budweis, datole quando era parte dell’impero Asburgico ed era abitata prevalentemente da cittadini tedeschi. Un giro intorno alla fontana Samsonova kašna e per le vie del centro fino alla torre goticorinascimentale chiamata Černá věž, poi si riparte. Ci aspetta ancora molta strada, più di quella preventivata comodamente seduti a casa nostra attorno ad un tavolo.
Seguiamo la Moldava, ma essa non si cura delle nostre difficoltà motorie: si incunea fra canyons e dirupi e ci respinge lontani, su e giù per valli e colline. Passiamo vicino al neogotico castello di Hluboká e osserviamo i primi nidi di cicogne sui tralicci della luce. Dovremmo arrivare a Zvikov. Dovremmo. Intanto vediamo stagliarsi all’orizzonte due impressionanti ciminiere concave: è la centrale atomica di Temelin, temuta e aborrita dagli austriaci delle città di confine. La paurosa mole dell’edificio contrasta con il paesaggio idilliaco del paesino, situato sulle rive di un placido laghetto.
Deviamo dal percorso della Moldava e puntiamo su Pisek, che scopriamo essere una simpatica e accogliente cittadina. Come di consueto, ci rechiamo all’ufficio turistico, da dove prenotiamo le stanze in un albergo presso il castello di Zvikov. Ancora venti chilometri da percorrere e ne abbiamo già percorsi più di settanta. Ciondoliamo un po’, riluttanti a risalire in sella. Poi ci decidiamo e partiamo. Ma un urlo di Sergio ci costringe a fermarci. Girando per la piazza è capitato davanti alla porta di un hotel. L’albergatore è uscito e, parlando in italiano, ha offerto delle stanze a Sergio. Breve consulto. Abbiamo un impegno con l’albergo di Zvikov. La coscienza ci rimorde, ma le gambe e il soprassella sono ancora più dolenti. Vince la stanchezza. In pochi minuti ci sistemiamo nell’albergo di Pisek. Siamo talmente stanchi che ceniamo al ristorante dell’albergo. Ci complimentiamo con Sergio e con noi stessi: abbiamo fatto proprio bene a fermarci qui. Domani è un altro giorno, si vedrà.
Infatti vediamo. Prima visitiamo pigramente Pisek, ci fotografiamo ciondolando sul ponte medievale che scavalca la Otava, un affluente della Moldava, poi lentamente e controvoglia prendiamo la strada per Praga. Averlo saputo prima, ci saremmo alzati di buon’ora e avremmo cominciato a pedalare di buona lena. Invece, felici e incoscienti, ce la siamo presa comoda. Giunti al castello di Zvikov abbiamo percorso appena venti chilometri e ancora ci attardiamo a fotografare il maniero sulla Moldava, ben attenti a non farci vedere dall’albergatore che ci aspetta dalla sera prima.
Poi cominciano i dolori. Il tempo volge al brutto e la strada diventa simile alle montagne russe. Non abbiamo nemmeno il tempo e la voglia di guardare i bei villaggi che attraversiamo. Giusto uno sguardo fugace al centro, colorato e ben restaurato di Sedičany, e niente più. Solo salite e discese, salite e discese, sotto una pioggerella insistente e fastidiosa. I cartelli stradali, di solito molto chiari e precisi, improvvisamente diventano italiani. Per un breve tratto ci illudiamo di essere vicini a Praga: 39 chilometri. Ma è un’illusione, appunto, dalla quale ci risveglia il cartello successivo: Praha 59! Presi dallo sconforto ci rifugiamo a far merenda in un autogrill. Poi si riprende: volenti o nolenti questa sera dobbiamo arrivare a Praga. Abbiamo le chiavi dell’appartamento in tasca fin dalla partenza. I proprietari, infatti, sono due veronesi. Non ci rimane che fare buon viso a cattivo gioco. Alla sera avremo totalizzato 134 chilometri e 63 salite! Gli ultimi venti chilometri sono percorsi a velocità sostenuta, finalmente in pianura, con la sola forza della disperazione e in assoluto mutismo. La vista della periferia praghese ci ridà energia. Siamo lungo la Moldava e stiamo puntando verso il centro. [continua…]
(da Ruotalibera 182 – aprile-agosto 2024)