Immagini di un viaggio in bici
Volo sulle ruote della mia bici; volo tra cielo e mare.
Questa è una delle più belle discese mai fatte. La salita a Erice non è poi così dura come tanti mi hanno detto, forse il metro delle difficoltà è diverso da quello a me abituale. In Sicilia le salite dure non mancano ma ora mi sto divertendo e mi godo questi momenti di pura gioia, mi sento un po’ come quei gabbiani che veleggiano lassù, nel cielo tra Erice e Trapani.
Anche se le discese finiscono in fretta, ci sono tante altre strade per perdersi in questa terra bellissima, strade secondarie, dove poche auto passano, arrivando alle spalle suonano per avvisare, e quando si affiancano per il sorpasso, spesso vedo un gesto di curiosità di chi guida, quasi si chiedesse “… ma che fa questo? … qui?”. La bicicletta non è molto usata da queste parti, eppure è bellissimo pedalare in perfetta solitudine, immersi nel sole.
Ad ogni pedalata vivo il paesaggio ricco di colori e profumi, di questa terra calda ed accogliente, il cielo limpido e terso, solcato da poche nubi alte e sottili, che veleggiano verso le colline gialle di grano. Il respiro è ora più corto, e la fatica della giornata si fa sentire nelle gambe, sempre più dure e legnose. Ancora una volta la strada si alza e si protende verso il paese, che abbraccia la collina pietrosa, si restringe tra le case, ne tocca gli usci, supera la chiesa bianca alta su una scalinata, che domina i tetti e la valle. Nella piazzetta i vecchi siedono al caffè e mi osservano immobili e attenti, mi scrutano e gli occhi passano da me alla bicicletta, sono curiosi ma non lo vogliono dar a vedere; al mio saluto rispondono con un sonoro buongiorno.
Il ghiaccio è rotto, subentra la curiosità e le domande di rito: da dove arriva? dove va? da quanto tempo viaggia? Mi offrono un bicchiere di vino che ben accompagna il panino che sto mangiando. Ringrazio, saluto e riparto verso il prossimo paese abbracciato ad una collina pietrosa, con la piazza aperta sulla valle, la chiesa bianca alta sulla scalinata… Sto percorrendo un tratto di costa molto bello, la strada è sterrata, piena di buche e sassi, corre sul bordo di una bassa scogliera a cinque metri dal mare, sarebbe un paesaggio bellissimo, e lo è, se si guarda solo a destra. A sinistra una fila continua di case orla la costa quasi senza soluzione di continuità.
Sono costruite a metà, le porte sprangate, inferriate alle finestre, intonaci grezzi quando non assenti, tavoli, sedie, ombrelloni accatastati fanno capire che sono seconde case, abitate due, forse tre mesi all’anno. Perché? Forse ci si abitua alla bellezza e allora non la si apprezza più, o forse la si apprezza troppo, la si vuole possedere e allora la si perde. Segesta, Selinunte, Eraclea, Agrigento, sto attraversando la Magna Grecia, quella che tanti anni fa ho studiato sui libri di scuola, e che ora vivo, respiro…
Sapevano vivere gli antichi greci. Che posti! Sono belli ancora ora dopo quasi 2.500 anni, nonostante i disastri prodotti negli ultimi decenni. Cerco di immaginarmi come dovevano apparire questi luoghi, a quei primi coloni e provo un senso di nostalgia. Dagli agrumeti sale un profumo che stordisce, i campi sono orlati di margheritone dal colore giallo che contrasta in modo drammatico e bellissimo con quello rosso cardinale dei campi di erba medica in fiore.
Questi sono premi riservati a chi viaggia lentamente. Pedalare in questa terra è una fatica piacevole che fa vibrare il corpo, lo si sente vivo nel ritmo della pedalata e nel respiro che cambia con il cambiare della strada, nel vento che frena o sospinge, nell’affanno della salita e nella gioia della discesa. In questi momenti sono lontano anni luce dai bisonti che ruggiscono, vomitando fumo sulla statale a qualche centinaio di metri da me. La superstrada corre parallela alla costa e per evitarla è giocoforza scegliere le vecchie strade, che si contorcono tra poggi pietrosi, orlano campi, superano pendii e corrono discese verso il mare, che riluce metallico oltre l’ultima collina.
È un gioco di sali e scendi dove le gambe non riposano mai, ma tutto è troppo bello per misurare la fatica. All’improvviso arriva il mare; una scogliera bianca come una meringa, vi si protende ed annega nell’acqua verde. Per arrivare a Ragusa si risalgono i salienti di un altipiano che si affaccia sul mare, è un territorio agricolo, olivi, carrubi, pascoli e allevamenti, si susseguono lungo stradine dimenticate dal traffico che scorre lontano. È un pedalare lento e rilassante fino allo strappo per Donnafugata, e poi ancora su fino alla città, da dove ci si tuffa in uno dei più stupefacenti paesaggi, che l’uomo abbia mai costruito. È un miracolo la città vecchia, Ibla, giù nella valle.
Scendo verso quella meraviglia e mi frullano in testa le immagini di un famoso serial televisivo. Capisco ora che lo stimolo per arrivare fino a qua, forse parte anche da quelle immagini, in ogni caso questo paesaggio umano è gioia per gli occhi e stimolo a riflettere sull’attaccamento e sulla cocciutaggine che hanno legato questa gente a questi posti, a questa città. È una storia antica, di ricchezza, di cultura e duro lavoro, di decadenza e rinascita.
Meraviglia pura è il mare di Capo Passero, non oso pensare a come possa essere in agosto, ma ora è perfetto, la risacca si frange sugli scogli, cristallina, limpida come dovrebbe essere l’acqua di ogni mare; nessuno che si avventuri sulle spiagge neppure quelle più belle. Azzardo un bagno su quella lunga e deserta di Vendicari. È freschina! Ritorno a godermi Marzamemi e, unico cliente, seduto davanti al mare, mi gusto un piatto di pasta con le sarde.
Quello che sto vedendo, la passione che traspare dalle persone che incontro, la voglia di fare che trovo in questa parte di Sicilia mi carica, mi piace, mi fa andare avanti nel mio viaggio anche ora che devo affrontare la parte più dura. Devo andare a nord attraverso le montagne. Mi sono fermato per chiedere una informazione. Lungo la strada cammina una coppia di anziani, scendo dalla bici e mi avvicino. Lui è incuriosito, lei diffidente, cerca di trascinare via il marito, ma alla fine si arrende alla curiosità. Le spiegazioni dell’uomo sono laboriose e la mia traduzione dal dialetto piuttosto incerta, per la verità, quello che sono riuscito a capire è di poca utilità ma non importa.
Una piccola sosta, una conversazione, rispondere alle solite domande sul come e da dove, mi è sempre gradito. La donna è ora attenta ma stupita, non perde una parola, ma si capisce che qualcosa non le torna. All’improvviso si riscuote si illumina e domanda, ma perché lo fa?… forse per voto?
Il vento, il mio capriccioso amico vento, a volte gradito compagno, oggi ha deciso invece di giocare con me, mi contrasta, mi sbatacchia, mi obbliga ad un andamento sbieco, e soffia teso e contrario per tutto il giorno. Giorno di passione, che finisce a Vizzini nel paese di Giovanni Verga, dove sono accolto, nel vero senso della parola, dall’ospitalità gradevole e gradita di persone appassionate del loro paese, che con tanta buona volontà e pochi mezzi cercano di risollevare le sorti e la cultura di questo angolo di Sicilia. Visito il museo dedicato al grande scrittore, e il paese che invero meriterebbe di essere più conosciuto.
La Sicilia è terra di montagne. Lo capisco ora con tutto il mio corpo, e di montagne ne dovrò affrontare per arrivare a Palermo! Non sono alte, le salite non sono così dure, ma non finiscono mai, si susseguono e si sommano, aggirano i fianchi delle montagne che ora rilucono di verde lucido di pioggia ma che tra poche settimane ingialliranno al sole implacabile. La costa nord mi appare dalla Portella di Mare, un facile passo che scende da Polizzi Generosa.
La discesa è bella e veloce ma si conclude nel traffico. L’ultimo tratto del mio viaggio è senza storia, svilito dalla statale verso Palermo che scorre stretta tra il mare e una fila quasi ininterrotta di paesi. Pedalo tra le auto che mi sfiorano e impediscono di godere del paesaggio. La città mi accoglie con le sue meraviglie artistiche, la confusione umana e piacevole dei suoi mercati e quella decisamente sgradita del caotico e disordinato traffico.
Sono stati 12 giorni intensi, faticosi ma bellissimi, qualche volta ho sofferto, spesso ho gioito, sempre ho apprezzato questo meraviglioso modo di viaggiare che mi ha permesso di ritrovare la gioia dell’avventura e della scoperta.
di Mario Boschetti
(da Ruotalibera 178 – aprile-giugno 2023)