Il falso mito delle piste ciclabili che soffocano il commercio
Quella che segue è la riproduzione integrale dell’articolo di Fabrizio Fasanella apparso sul giornale Linkiesta (https://www.linkiesta.it) del 26 ottobre 2023. Per gentile autorizzazione dell’autore e della redazione della testata possiamo offrirne la lettura sulla nostra rivista a tutti i soci e lettori, che invitiamo a seguire il giornale per eventuali aggiornamenti (tra l’altro, leggendo l’articolo sul sito di linkiesta.it potrai visualizzare e visitare i link alle fonti dei vari studi citati).
Nella sua essenzialità, completezza e chiarezza crediamo rappresenti una tappa fondamentale nella diatriba che troppo spesso vede contrapporre la ciclabilità allo sviluppo del commercio in ambito urbano.
Sul web circola spesso un virgolettato provocatorio, attribuito a Sanjay Thakrar (Ceo di Euro Exim Bank Ltd), che esordisce con: «Un ciclista è un disastro per l’economia di un Paese». La dichiarazione, diventata virale sui social media, prosegue elencando i motivi che giustificano la frase iniziale: «Non compra auto e non chiede soldi in prestito per acquistarne una. Non paga polizze assicurative. Non compra carburante, non paga per sottoporre l’auto alla necessaria manutenzione e riparazione. Non utilizza parcheggi a pagamento. Non causa incidenti rilevanti. Non richiede autostrade a più corsie. Non diventa obeso».
Per quanto la seconda parte possa risultare veritiera, la falsa convinzione che i ciclisti e le ciclabili facciano male all’economia può avere un impatto (negativo) sulle decisioni delle amministrazioni nazionali e locali in fatto di mobilità sostenibile. Non ci riferiamo a Matteo Salvini che risponde alle critiche sulla pericolosità delle auto dicendo: «Milano è la capitale del lavoro, lasciateci lavorare». Il punto focale della questione è che, contrariamente alle urla di molti commercianti indignati per una bike lane e l’eliminazione dei parcheggi, le infrastrutture per le biciclette generano conseguenze positive sul fatturato dei locali vicini.
Dati alla mano, i ciclisti urbani spendono più soldi rispetto agli altri utenti della strada e gli esercenti tendono a sovrastimare la quantità di clienti-automobilisti. Ma in Italia le polemiche sono ancora più accese che altrove: la colpa è anche della carenza di studi sul territorio nazionale
Chi pedala ha una notevole propensione al consumo, e – come si legge in un nuovo report del network Dutch cycling embassy – compra localmente e abitualmente. Inoltre, è un consumatore più fedele rispetto a un automobilista o un motociclista. Un chilometro percorso in bici, spiega il report, innesca un beneficio economico di sessantotto centesimi, contro i trentasette centesimi dell’auto e i ventinove centesimi degli autobus. Un ciclista spende meno nella sanità, ma visita i negozi più frequentemente e, soprattutto, agilmente. I mezzi sostenibili hanno la velocità e la comodità ideali per fare acquisti nella “via dello shopping” di una grande città, come corso Buenos Aires a Milano.
Commercianti vs. amministrazioni comunali
L’arteria che collega piazzale Loreto a Porta Venezia è l’esempio emblematico delle proteste degli esercenti (e delle associazioni a loro supporto) che si scontrano con la realtà. Nel giugno 2021, circa un anno dopo la realizzazione della corsia ciclabile lungo corso Buenos Aires, Confcommercio ha lanciato un’indagine che ha coinvolto centotrentasei aziende della grande arteria milanese. Secondo i risultati, al momento privi di conferme scientifiche, per il cinquantacinque per cento dei negozianti intervistati la bike lane ha «inciso negativamente sul fatturato delle attività».
Pochi mesi più tardi, più precisamente nel dicembre 2021, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dedicato alla «stagione del rilancio» di corso Buenos Aires, considerato un «asset dello shopping con molti investitori pronti a scommetterci». Il merito sarebbe di una trentina di nuove aperture. Per fare qualche nome, dopo il primo lockdown sono stati inaugurati punti vendita di Decathlon, Esselunga, Nike e Maison du Monde.
Corso Buenos Aires pullula di investimenti e consumatori, nonostante la presenza di una ciclabile – da poco dotata di cordoli e incroci colorati – sempre più importante per gli spostamenti medio-brevi in ambito urbano: secondo l’Agenzia mobilità ambiente territorio (Amat), nel 2022 il numero di biciclette lungo la via è praticamente raddoppiato, e i mezzi a pedali rappresentano il trenta per cento della media giornaliera dei flussi.
La diatriba tra amministrazioni e negozianti ha spesso raggiunto livelli come quelli di Sassari, dove nel 2016 decine di esercenti hanno abbassato le serrande e organizzato una marcia silenziosa contro una nuova pista ciclabile (e i suoi cantieri). Proteste simili, ricordiamo, nei Paesi Bassi sono avvenute più di quarant’anni fa: Amsterdam non è sempre stata Amsterdam.
Grave carenza di dati
In Italia, le polemiche trovano terreno fertile per via della scarsità di studi sul rapporto tra infrastrutture ciclabili e fatturato dei negozi. Secondo Ruben Baiocco, docente di Pianificazione urbanistica all’Università degli Studi di Milano e autore di diverse ricerche sulla ciclabiltà, «questi report non sono difficilissimi da fare, ma servono soldi e una spinta maggiore da parte delle amministrazioni».
A Milano, ad esempio, sappiamo che se un cittadino fa shopping in bicicletta impiega in media il settantacinque per cento del tempo in meno rispetto ad altri mezzi, ma poco altro. Anche per questo motivo, in Italia la questione non cade mai nel tecnico, limitandosi a sterili diatribe politiche e ideologiche. Basti pensare al flash mob di una delegazione di Fratelli d’Italia, che nel settembre 2021 ha preso “a martellate” la ciclabile di corso Buenos Aires in segno di protesta. La splendida utopia è un discorso sulla mobilità sostenibile privo di colori politici.
La pioniera degli studi sulla mobilità attiva e il commercio al dettaglio si chiama Carmen Hass-Klau, una ricercatrice tedesca che ha inventato il termine “traffic calming”. Quest’ultimo si riferisce alle modalità di progettazione delle strade che riducono la velocità delle auto nelle zone residenziali. Nel 1993, l’accademica ha pubblicato un’indagine dedicata all’impatto della pedonalizzazione sui negozi, dal titolo “Impact of pedestrianization and traffic calming on retailing”. Secondo Ruben Baiocco, lo studio «ha una metodologia molto semplice ma efficace, in quanto ha analizzato lo stato del commercio prima e dopo la pedonalizzazione delle vie». Carmen Hass-Klau ha considerato diverse voci: turnover delle attività, saldo tra chiusure e nuove aperture e guadagno dei negozi. Dopo la pedonalizzazione, sottolinea il docente della Statale, «si sono verificati aumenti in favore dell’incasso e delle nuove aperture, ma anche una maggior stabilizzazione delle attività commerciali grazie a un minor turnover».
«È dimostrabile, oltre che facilmente intuibile, quanto muoversi in bici o a piedi favorisca il commercio. In auto, ad esempio, i problemi nel trovare parcheggio sono un disincentivo. Le analisi come quelle di Hass-Klau sono utili per rendere più scientifiche determinate scelte urbanistiche e non controbattere in maniera ideologica a chi pensa che le bici rovinino il commercio».
Una strategia per incentivare lo shopping dei ciclisti è aumentare il numero di rastrelliere per parcheggiare il mezzo, ma senza ricerche ad hoc è complesso capire dove – e come – intervenire: «Bisogna analizzare le argomentazioni che spingono un commerciante a valutare una pista ciclabile in modo negativo», dice Baiocco.
Da Londra a Toronto
Un altro studio degno di nota è stato pubblicato nel 2018 dall’University College London’s Bartlett School of Planning. Secondo i risultati, riferiti a Londra, le piste ciclabili e gli spazi pedonali hanno incrementato gli affari di ristoranti, pub e negozi adiacenti. Nello specifico, le persone in bicicletta hanno speso mediamente il quaranta per cento in più rispetto a chi ha frequentato la stessa attività commerciale arrivando in auto. Il motivo? Chi si muove a piedi o pedalando trascorre più tempo negli spazi aperti, ed è quindi più propenso a entrare in un negozio, in una gelateria o in un bar. Un concetto apparentemente banale ma essenziale da ribadire.
Sempre a Londra, nel 2009, l’ufficio dei trasporti della città ha pubblicato un documento dal titolo “Cycling Revolution London”. Al suo interno spicca un’indagine in grado di dimostrare che pedoni e ciclisti hanno la propensione alla spesa più elevata. Questa tesi è stata formulata un anno dopo la nascita di alcune corsie ciclabili, ai tempi piuttosto rudimentali.
Per quanto riguarda l’Italia, una ricerca importante da citare è quella effettuata da Ruben Baiocco e Luca Velo (Università Iuav di Venezia) – in collaborazione con l’assessorato alla Mobilità del Comune di Venezia – nella città di Mestre: «La verifica ha riguardato il più importante collettore urbano ciclabile da est a ovest, dotato di una continuità ciclistica integrale. L’unico fenomeno di tenuta e rinforzo delle attività commerciali si era verificato soltanto lungo il suddetto percorso ciclabile», spiega Baiocco, che è stato responsabile scientifico dello studio dal titolo “In bicicletta di stazione in stazione”.
Passando agli Stati Uniti, un paper riferito alla città di Portland ha rivelato che, nell’arco di un mese, i ciclisti spendono più degli automobilisti nei ristoranti, bar e negozi di quartiere (ma non nei supermercati). A New York, invece, nella prima e seconda avenue dell’East Village il novantacinque per cento della spesa aggregata è generata dai «non automobilisti». La ricerca, citata da Bloomberg, mostra che i ciclisti spendono in media centosessantatre dollari a settimana, mentre gli automobilisti centoquarantatre. Ancora: a Los Angeles, lungo York avenue, i negozi nel tratto con la corsia ciclabile hanno dichiarato circa il doppio delle entrate rispetto a quelli situati di fianco alla carreggiata per le auto (1.116.745 dollari contro 574.778 dollari).
Un’altra ricerca ha poi confermato che i commercianti sovrastimano il numero di clienti-automobilisti. I negozianti di Bristol pensano che il quarantuno per cento delle persone si rechi nelle loro attività in macchina, ma la percentuale reale si aggira attorno al ventidue per cento. Le cifre, sottolineano gli esperti, sono quasi le stesse rispetto a quelle raccolte nella città di Graz, in Austria.
«Le abitudini di spesa dei ciclisti, la loro quota relativamente elevata e il loro impatto minimo in termini di spazio dimostrano che è improbabile che i commercianti di Bloor Street, a Toronto, siano influenzati negativamente dalla presenza di una nuova bike lane e dalla riallocazione dei parcheggi», recitano invece le conclusioni di uno studio condotto su sessantuno negozi e cinquecentotrentotto clienti della via. «Pedoni, ciclisti e utenti dei trasporti pubblici rappresentano la maggior parte della spesa al dettaglio su Bloor Street West, nel quartiere Annex. Le novità avranno un impatto economico positivo per le imprese rispetto al mantenimento dei parcheggi lungo la strada», continuano i ricercatori dell’università di Toronto e Clean air partnership.
Come in ogni aspetto, specialmente se il tema è la gestione dello spazio pubblico, non basta la presenza di una mole massiccia di dati e ricerche accademiche. Gli esercenti chiedono (legittimamente) alle amministrazioni un maggior coinvolgimento, ma non sempre i processi partecipativi si rivelano proficui al fine di una rapida transizione verso una città più sostenibile: «Ho visto situazioni in cui i commercianti erano contrari a una nuova ciclabile, ma poi – a conti fatti – si sono detti contentissimi», conclude il professor Ruben Baiocco.
di Fabrizio Fasanella
(da Ruotalibera 180 – ottobre-dicembre 2023)
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