Quando si ha in mente un risultato da raggiungere, ogni situazione intermedia può dare l’idea del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. A questa regola non sfugge nemmeno la valutazione della mobilità ciclistica nelle nostre città: tenendo – per dire – Amsterdam o Copenhagen come bicchiere colmo, ci si può far prendere sia dal più facile dei pessimismi che da slanci di ottimismo.
Guardiamo ad esempio Verona, che in questi mesi ha fornito e fornirà diversi spunti sul tema: a voi la scelta di come giudicarli. Il nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile? Potrebbe essere l’ennesimo esercizio di stile senza effetti (come accaduto in molte altre città), oppure la rotta per un cambio di mentalità nella pianificazione della mobilità. I Mobility Day con chiusura domenicale del Centro alle auto? Un provvedimento meramente educativo senza effetti concreti, o il primo passo di una strategia prudente che magari prima o dopo oserà intervenire anche nei lunedì. Un aprile in cui Verona entra nella rete di Comuni Ciclabili con cerimonia a Palazzo Barbieri e ospita l’assemblea nazionale di FIAB in Gran Guardia? Passi un po’ ipocriti e propagandistici di una città che alla mobilità ciclistica non ha mai pensato né mai penserà in modo razionale e coraggioso, oppure scelte che indicano l’inizio di un cammino d’impegno, un mettersi in gioco di fronte a tutti per quello che si è. Le tre ciclabili (Saval, Porta Palio, Boscomantico-Chievo-Stazione) più volte annunciate? Finora se ne è parlato molto ma non s’è visto ancora nulla e dubitiamo si vedrà, oppure nei prossimi mesi le vedremo realizzate e sarà un passo importante verso un completamento organico della rete cittadina.
Un altro spunto interessante è venuto dal recente dibattito sulla possibilità che anche qui in Italia, a seguito del lavoro della Commissione Trasporti della Camera, venga introdotto il “senso unico eccetto bici”, ovvero la facoltà di permettere alle biciclette in alcune vie a senso unico di andare nell’altro senso liberamente, anche senza una corsia dedicata (ne avevamo già parlato, un po’ profeticamente, nel nostro Punto sullo scorso numero di Ruotalibera). Contro questo provvedimento – che, ricordiamolo, funziona con successo da anni in quasi tutta Europa con chiare evidenze di abbassamento di incidentalità e incentivazione degli spostamenti in bici – c’è stata a Verona una notevole levata di scudi, basata sull’assunto – forse comprensibile come prima reazione istintiva ma nettamente smentito dai dati – che porterebbe solo incidenti e disgrazie. Ora, che queste reazioni arrivino da associazioni legate all’uso dell’auto non sorprende, perché è chiaro che la norma porterebbe con sè
una limitazione della facilità di circolazione per i mezzi privati a motore; più spiacevole osservare come invece arrivino anche da associazioni che si occupano di sicurezza stradale, per le quali servono solo più cultura e più repressione. L’esperienza mostra però che quest’ultimo è un approccio errato al problema, perché l’adulto al volante (scherzosamente “il lupo” del titolo, ma la cosa riguarda ognuno di noi) non perde il suo vizio di schiacciare l’acceleratore e distrarsi con lo smartphone solo perché si organizzano corsi di buon comportamento stradale (non ci va nessuno) o perché si promettono vigili in ogni via (idea tanto fuori luogo che fuori dalla realtà) ma solo quando vengono cambiate in modo opportuno le “regole d’ingaggio stradale” (ovvero: le norme del Codice), costringendo tutti a muoversi più lentamente e più con attenzione.
Qui il bicchiere mezzo vuoto è la constatazione che la cultura stradale, a Verona come in Italia, è ancora fortemente auto-centrica e dura da scalfire. E quello mezzo pieno? È il fatto che finalmente se ne sta parlando, e questo è sempre il primo passo per affrontare e risolvere i problemi. Noi siamo qui per questo.
(da Ruotalibera 162 – aprile-giugno 2019)