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Ogni volta che mi capita di parlarne, che sia con un comune cittadino o col più scafato degli amministratori, la reazione è la stessa: “Ma scherziamo? Chissà quanti incidenti, e in Italia poi…”. Anche la mia risposta è la stessa. Il “contro-senso ciclabile” – o “senso unico eccetto bici” – vuol dire permettere alle biciclette di andare nell’altro senso liberamente, anche senza una corsia dedicata. Che ci siano vantaggi non è molto intuitivo: in effetti a prima vista si vedono grossi rischi nell’incontro coi veicoli a motore. Tuttavia le statistiche mostrano che dove è stato permesso – anche in vie molto strette – l’incidentalità diminuisce drasticamente. Come mai? La ragione è semplice: tutti sono più attenti, lenti e prudenti. E se capita che auto e bici non passano assieme? Beh, poco male: si fermano e cercano di incrociarsi scansandosi un po’ a vicenda, come quando due persone si incrociano su un marciapiede stretto. Chiaro che l’introduzione di questa possibilità porta con sè l’obbligo di stare sotto i 30 all’ora, perché andare più veloci con queste norme, quello sì sarebbe impensabile: anche questo poco male, anzi, benissimo. E, per finire, forse si potrebbe smetterla con la storia degli “italiani indisciplinati”, alibi molto usato per evitare di andare in fondo alle questioni: gli italiani sanno comportarsi bene quando una nuova norma è ragionevole e ben spiegata. Si ricordi ad esempio come 16 anni fa, contro ogni previsione, venne subito recepita la “legge Sirchia” sul divieto di fumo in ambienti pubblici che ci pose all’avanguardia in Europa.
Permettere il contro-senso ciclabile nelle aree urbane anche in assenza di corsie dedicate sarebbe da un lato un incentivo concreto per la mobilità ciclistica, permettendole di fare ben di più di quella a motore; e dall’altro una salutare calmata a tutto il traffico, rendendolo più lento ed attento. Con questi vantaggi, molte più persone sarebbero invogliate ad usare la bici nei loro spostamenti, perché più pratica e veloce oltre che tutelata da norme che ne facilitano l’uso.
Ma si può fare? In vari paesi (come la Francia) sì, mentre in Italia ancora no, perché un progetto di riforma in tal senso del Codice della Strada è bloccato da tempo nel suo iter parlamentare. Peccato, perché si tratterebbe di dare forma giuridica a un’esigenza tanto spontanea quanto comprensibile: per accorgersene basta vedere cosa succede a Verona in via Cesiolo, via Marconi, stradone Provolo… dove decine di ciclisti si mettono a sfidare pericolosamente le norme stradali pedalando sulla carreggiata nel senso contrario al quello consentito pur di non seguire un percorso sì legale ma spesso lungo, tortuoso e rischioso perché a contatto col traffico motorizzato.
Si tratterebbe dunque di “dare fiducia ai ciclisti”, facilitandone la vita ma nel contempo chiedendo loro di avere riguardo e prudenza nell’usare le maggiori opportunità loro concesse, muovendosi con attenzione e avendo l’occhio lungo per sè e per gli altri. In Francia questa è diventata da anni la filosofia dei progressivi aggiornamenti del Codice: là oltre al controsenso ciclabile si sta persino iniziando a concedere ai ciclisti di partire col semaforo rosso sfruttando i tempi morti dei verdi dalle altre direzioni (si veda il filmato in evidenza): come non pensare ad esempio al semaforo di Porta Palio per chi provenga in bici dal centro città?
Ah, la douce France… Nella mobilità ciclistica i nostri cugini ci sono effettivamente un po’ avanti, ma dobbiamo avere fiducia che, continuando a spiegare pazientemente lo spirito di queste norme, alla fine ci arriveremo anche noi.
(da Ruotalibera 161 – gennaio-marzo 2019)