Racconti di viaggio

Da Trieste a Danzica, testa alta e pedalare (1)

Parte prima: Slovenia, Austria, Repubblica Ceca

È una sottile linea ondulata, quella che sulla cartina congiunge il molo Audace di Trieste con il molo di Sopot, sul Mar Baltico, vicino a Danzica. Un itinerario verso Nord scelto tra i 17 dell’Eurovelo, la rete di itinerari ciclabili che solca l’Europa, per regalarsi alla fine qualche giorno di ricongiungimento familiare con una figlia in Finlandia per un tirocinio universitario.

La linea dell’Eurovelo 9 Adriatico – Baltico l’ho studiata per giorni, frammentata in tappe in modi diversi, mano a mano che il tempo a disposizione si ampliava o si contraeva, ricomposta e scomposta più volte, fino a stabilizzarsi in diciassette giorni, per circa 1.700 chilometri, una sfida non banale, degna dell’obiettivo che mi ero posto: all’indomani del prepensionamento riconnettermi con me stesso.

Parto in treno da Verona, cambio a Mestre per Trieste, poi a Trieste per Postumia. Vince il confronto tra i “materiali rotabili” il Trieste – Vienna, treno un po’ datato ma con una carrozza riservata alle biciclette.

Prima tappa leggera, utile per testare l’assetto: borse laterali stipate e sacca stagna con materiale per campeggio sul portapacchi posteriore. Bici quasi nuova, gravel di livello medio, provata pochissimo. Ma è sul corpo che i primi tempi concentro l’attenzione: dovrà supportarmi per i prossimi giorni, un programma intenso che non ammette stanchezza né tanto meno dolori o risentimenti muscolari. Pedalo quindi con attenzione, concentrato sui muscoli e sulle giunture, attento ad ogni più piccolo segnale, ormai sollevato dalla preoccupazione che immancabilmente assale prima di partire e lascia presto spazio all’entusiasmo di essere lì.

Arrivo a Ljubljana nel tardo pomeriggio, alloggio in un ostello economico come farò spesso nelle città, preferendo invece i campeggi nei piccoli villaggi. Il giorno successivo proseguo a bordo fiume, prima della Sava, poi della Savinja, un suo affluente, attraversando Lasko, famosa per le terme e da me conosciuta per la buona birra e dormendo dopo un centinaio di chilometri in un bell’ostello a Celje, adiacente ad un centro giovanile.

La preparazione del viaggio è stata un po’ frettolosa, non ho studiato bene gli itinerari, mi affido quindi alla traccia gpx che ho scaricato. Spesso quindi mi perdo pezzi di ciclabile, che a volte riesco a raggiungere dopo averli individuati a bordo strada o dall’altra parte del fiume. Talvolta invece sono sulla pista giusta, ma è lei che viene interrotta per lavori stradali. Un paio di volte l’interruzione è stata occasione di curiosi episodi. Durante questa tappa mi sono trovatodavanti al cantiere di costruzione di un cavalcavia, nella sua fase iniziale, un cumulo di ghiaia grossa alto cinque/sei metri. Lo supero con grande fatica, alzando la bici di peso. Giunto al culmine stremato, individuo la traccia di una ruspa e la seguo spingendo la bici sobbalzante. Una cinquantina di metri davanti a me un signore con il cane si sbraccia, io immagino che mi stia imputando l’attraversamento del cantiere, un po’ lo ignoro ma lui avvicinandosi continua ad urlare qualcosa e intuito che non capivo, lo ripete in varie lingue finché comprendo “el tubo”… Mi giro indietro e vedo la mia sacca gialla con tenda e materiale da campeggio poco oltre il culmine del cavalcavia: si era sfilata dalla cinghie e la stavo abbandonando.

Il giorno dopo, pedalando verso l’Austria, poco prima di Maribor raggiungo sulla pista un curioso mezzo, una recumbent con due ruote anteriori, attrezzata con diversi orpelli tra cui cupolino e pannelli solari. La guida Joseph, età indefinibile ma probabilmente vicina agli ottanta, che in pochissime battute riesce a toccarmi il cuore, con gli auguri per un buon viaggio e gli accenni alle sue numerose esperienze ciclistiche, tra cui l’attraversata da Nord a Sud dell’intera California.

Mi accorgo che nei primi giorni sono particolarmente sensibile, mi emoziono per un nonnulla, figuriamoci per il passaggio del confine tra Slovenia ed Austria e il cartello che indica il fiume Mur, appellativo che ci siamo autoattribuiti come famiglia. Chiamo a casa piangendo come un vitello, sfogo così l’emozione, non sapendo che ciò genera una certa preoccupazione, in effetti non era un segnale di grande equilibrio… Invece sono solo profondamente emozionato da questo viaggio, che mi entra dentro pedalata dopo pedalata, la solitudine mi consente di pensare al mio futuro da pensionato, mentre affiorano nella mente i ricordi degli anni trascorsi al lavoro.

La ciclabile lungo il Mur inizia ad essere frequentata, complice la primavera che regala i primi caldi. Mi fermo a Mureck, in un bel campeggio, dove finalmente testo l’attrezzatura che ho portato: tenda leggera a doppio telo e fornellino ultrarapido. Ho una discreta dotazione di cibo, quindi l’assenza di un market non mi preoccupa, cena e colazione sono comunque garantiti. Il giorno successivo proseguo per un po’ lungo il fiume, poi svolto decisamente verso Nord, lungo il confine austriaco/sloveno e affronto i primi saliscendi tra prati e boschi, che caratterizzeranno anche le tappe successive. Sono nella regione termale della Stiria, è un weekend, quindi nell’indecisione delle strade da prendere seguo il flusso dei ciclisti locali.

La domenica affronto la tappa con il maggior dislivello, oltre mille metri, non sarebbe un granché se non fosse per il peso del bagaglio, che mi costringe a frequenti soste. Inoltre sono giorni abbastanza caldi e inaspettatamente non trovo fontanelle per riempire le borracce. Finita l’ultima goccia, provvidenzialmente si apre proprio a fianco a me un cancello e un’auto entra. Chiedo dell’acqua e il proprietario, che poi mi rivelerà essere un ciclista anche lui, e innamorato dell’Italia, non solo mi riempie le 3 borracce ma anche mi regala una banana e una barretta. Cose semplici, ma la comunanza tra appassionati delle due ruote che emerge così rapidamente fa pensare, la bicicletta unisce!

La notte sarò l’unico ospite di una locanda, deve peraltro il ristorante annesso è chiuso: le scorte di viveri mi salvano ancora una volta. All’arrivo la ricerca delle chiavi sembra una caccia al tesoro, solo dopo un accorato appello ad una coppia di passanti riesco a capire bene il messaggio scritto in tedesco e trovare dove erano riposte. L’abbondante colazione dell’indomani riscatterà l’incidente iniziale.

L’EV09 in questa zona segue il Thermenradweg, un itinerario ciclabile ben segnalato che si sviluppa nella regione termale e vinicola a sud di Vienna, che raggiungerò al termine della giornata. Dopo giorni in piccole cittadine, la grande capitale un po’ mi intimorisce, ma la sua natura imperiale si rispecchia anche nella fitta rete di piste ciclabili che si snoda lungo i viali principali. L’ostello ha un’unica pecca, la mancanza di uno spazio protetto per riporre la bici, le rassicurazioni della reception non mi bastano e durante la notte mi affaccio più volte alla finestra, proprio sopra la rastrelliera in strada, per verificare che nessuno provi a forzare il pesante lucchetto che provvidenzialmente mi ero portato.

Lascio la capitale per piccole stradine che si inerpicano sulle colline, in mezzo a campi sterminati. Poco prima del confine incrocio l’EuroVelo13, il percorso della Cortina di Ferro, un altro tracciato ciclabile europeo che segue il confine degli stati dell’Europa dell’Est. Nel mio caso è il confine tra Austria e Repubblica Ceca. In una strada nel bosco vedo ancora i ruderi dei vecchi bunker: oggi si passa indisturbati in aree che sono state per anni il confine tra due mondi. Ora più che gli uomini li presidiano gli animali, nella giornata ho avuto rarissimi incontri con umani, molti di più con fagiani, lepri e persino daini, che brucavano sereni in una radura a bordo di una strada di campagna. Tappa piuttosto lunga, 112 km, mi concedo per la notte un comodissimo (ma economico) miniappartamento a Valtice, famosa per un castello patrimonio Unesco e situata al centro della regione vitivinicola della Moravia, con le tipiche cantine scavate sui fianchi delle colline di cui si vedono le facciate lungo la strada.

Ingresso dell’ostello a Brno

Il giorno dopo, un mercoledì, il tempo è bigio, pioviggina e soffia un fastidioso vento freddo. Prima parte della tappa peraltro in salita e con la strada dissestata… Ci pensa un concerto di rane e un paio di lepri a distrarmi, ignoro per qualche ora il navigatore e quindi di preoccuparmi per il ritmo ignobile e procedo. Dopo molti giorni solitari incontro (finalmente) un ciclista sulla mia strada: è Matthias, un giovane che sta raggiungendo in Cechia il villaggio natale della sua famiglia, chiacchieriamo pedalando fianco a fianco per un bel tratto, io seguendo distrattamente le mie indicazioni, lui talmente preso che perde il bivio che ci dividerà, accorgendosene solo dopo una decina di chilometri.

Arrivo la sera a Brno, in un piacevolissimo ostello al piano superiore di una birreria, una struttura ricavata in una vecchia fabbrica che ha recuperato tutto quanto era possibile degli impianti esistenti per trasformarli in pezzi di arredo. Anche il centro merita una visita, per i palazzi imponenti e le sue chiese, in particolare la cattedrale dei santi Pietro e Paolo che domina la città.

Castello di Plumlov

Il giovedì la traccia segue una bellissima ciclabile lungo un fiume, appena asfaltata tanto che supero un gruppo di giovani mamme con i pattini a rotelle che spingono i loro passeggini. Dopo una quindicina di chilometri la lascio a malincuore, ma poco dopo mi inoltro in una specie di canyon che attraversa una riserva naturale. Ci sarebbe qui da visitare una grotta, la Grotta di Punk e salire con una breve funivia per ammirare il panorama dall’alto, ma i ritmi costipati che mi sono imposto non mi consentono di fermarmi. Riesco comunque a godermi questa tratta immersa nella natura, che prosegue regalandomi altre sorprese: l’imponente castello di Plumlov che si riflette su un laghetto, la faccia dell’abitante incontrato per strada che scuote la testa quando gli rispondo Gdansk (Danzica) alla richiesta della mia destinazione, ma soprattutto il meraviglioso ostello di Plumlov, all’interno di un palazzo di mattoni rivestito di edera, con un ristorante e una panetteria. Proprio nel magazzino della panetteria mi faranno riporre la bici, tra sacchi di farina e grandi macchine per impastare, mentre al ristorante festeggerò con un’ottima cena il mio compleanno. Mi dilungo, prima e dopo cena, a chiacchierare in italiano con Adela, una universitaria che si mantiene lavorando alla reception e che sta studiando la nostra lingua, aiutandola, con fare paterno, nel ripassarla. La cena non era particolarmente economica, d’altra parte il posto e la qualità dei piatti lo lasciava immaginare, così per la prima volta dopo nove giorni faccio il conto delle spese. Sarà una piacevole sorpresa, con una media di circa € 45 al giorno, compresi i trasporti, persino sotto le più rosee aspettative.

Il giorno dopo contribuirà ad abbassarla ancora: trovo sistemazione in un campeggio semichiuso che mi chiede 100 corone, poco più di 4 euro! Ma più che per questo il giorno lo ricorderò per un avventuroso tratto in treno. Essendo il mio compleanno e non avendo in programma giorni di riposo, mi regalo una tratta di una quarantina di km in treno, che sembra qui abbastanza agevole. Arrivo quindi alla stazione prefissata, faccio il biglietto online per me e la bici sul sito ufficiale delle ferrovie ceche, tradotto in inglese e abbastanza intuitivo, ma all’orario prefissato il treno si limita a scaricare i passeggeri, non facendo salire nessuno in quanto si deve proseguire in pullman per le prossime destinazioni a causa di manutenzione sulla linea. Mi accodo anch’io ma c’è un problema: il bus sostitutivo non carica le bici! Grazie all’intervento di una operaia che stava tornando dal turno di lavoro, capisco che devo andare nella direzione opposta fino alla prossima stazione, dove mi caricheranno anche la bici. In effetti c’è un servizio sostitutivo dedicato ai bagagli, un furgoncino bianco con la stessa insegna del bus, su cui carico a malincuore la mia bici e che parte precedendo il pullman che porta invece i passeggeri. I due mezzi si ricongiungono ad ogni stazione e quando arrivo alla mia destinazione, a 3 chilometri dal campeggio, la bici è già stata scaricata e mi aspetta sotto l’occhio vigile dell’autista.

di Marco Muratore
(da Ruotalibera 183 – settembre-dicembre 2024)

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Redazione Ruotalibera

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