Altre rubricheLe nostre attività

Verona e il suo fiume: sulle tracce di una civiltà scomparsa

Il 15 aprile 2024, nella nostra sede, abbiamo avuto il piacere di trascorrere un paio di ore con il prof. Giannantonio Conati, che ci ha offerto una introduzione storico–geografica all’uscita che avremmo realizzato la domenica seguente [il resoconto dell’uscita è in coda all’intervista], dal titolo “Verso Pescantina alla scoperta di arti e mestieri sull’Adige”. Dalla narrazione abbiamo sentito forte il legame con la “bassa Valpolicella” e con la variegata umanità che in quelle terre che lambiscono il fiume Adige ha vissuto e lavorato. Abbiamo quindi voluto conoscere meglio il nostro relatore e lo abbiamo intervistato.

– Giannantonio, ti chiediamo di presentarti ai nostri lettori.

Sono un ex insegnante di matematica e scienze ora in pensione, studioso di storia locale, in particolare di ciò che riguarda la fascia inferiore della Valpolicella e dei numerosi aspetti che sono legati alla vita sull’Adige, quindi al fiume stesso e alle comunità che operano lungo le sue rive. Del resto sono nato dirimpetto all’Adige, a Pescantina, dove vivo e dove, 25 anni fa, ho fondato il Museo etnografico “Lavoro e tradizioni lungo il fiume Adige”, allestito nella vecchia chiesa parrocchiale del paese, risalente al medioevo e posta accanto al Duomo settecentesco.

– L’Adige per una persona che nasce e vive a Pescantina cosa rappresenta?

L’Adige ha da sempre esercitato un forte ascendente su di me: il suo corso è metafora della stessa vita, nasce da una sorgente al Passo Resia, scorre, cresce e si modifica per abbandonarsi da ultimo al destino infinito del mare. L’argine è un punto privilegiato di esplorazione, di scoperta e di incontri: qui ho raccolto le testimonianze dirette di chi ha vissuto in quel mondo che si è conservato fino ad alcune decine di anni fa.

– Quindi hai dei ricordi di una Pescantina che forse sta scomparendo…

Non ho avuto modo di vedere direttamente molte delle attività che un tempo venivano svolte lungo il fiume, ma sono sempre stato catturato dai racconti e dalle esperienze di vita di diversi anziani che, sull’acqua o lungo la riva, avevano praticato mestieri vecchi di secoli e ora scomparsi per il modificarsi delle tecniche di lavoro e delle abitudini. Le esperienze, grandi e piccole, degli ultimi barcaioli, dei mugnai, dei pescatori, dei costruttori di ruote idrovore e altro hanno sempre esercitato in me curiosità e fascino.

Ho anche dei ricordi personali che rivedo come fossero avvenuti pochi anni fa, come quando, da piccolissimo, sui sassi del greto seguivo mia madre che – come altre donne – ricorreva all’acqua dell’Adige per lavare i panni; era inginocchiata sulla “brela” di legno e bagnava e batteva lenzuola e camicie. O come quando mio nonno teneva con forza verso riva il palo della “negosa”, una rete che permetteva di catturare qualche pesce nei periodi in cui l’acqua era torbida. Io stesso andavo con gli amichetti, tutti muniti di barattoli, a catturare le “aolete” – gli avanotti – che rimanevano nelle pozze d’acqua dell’Adige “in magra”. Indelebile è il ricordo della piena del novembre 1966, quando nella mia cantina penetrò l’acqua fino all’altezza di un metro e mezzo. I tronchetti di legna da ardere che mio padre aveva preparato per l’inverno galleggiavano come fossero barchette. Assai impegnativo fu poi il lavoro necessario per asciugarli (tutti fuori nei giorni di sole e dentro quando pioveva), per non parlare dello strato di melma che si era depositato sul pavimento del locale e che dovemmo raccogliere con il badile.

– Tante sono le ipotesi sull’origine del nome Pescantina, vuoi dirci quella secondo te più realistica?

Secondo le interpretazioni più recenti, e più solide, il nome Pescantina deriverebbe dalla particolare collocazione del nucleo antico del paese, così basso sul greto dell’Adige da “pescare” nell’acqua. È ritenuta poco convincente l’idea che il toponimo sia legato all’azione del pescare il pesce, come si pensava un tempo; a tal proposito la simbologia presente nello stemma comunale, in cui si vede una donna che pesca sulla riva del fiume, va presa come una metafora. Del tutto infondata è l’opinione, come moltissime persone credono, che ci sia un collegamento con la coltivazione delle pesche; tale idea, con relativo slogan, venne diffusa nella prima metà del secolo scorso a fini pubblicitari.

– Filo conduttore della nostra serata è stato il tuo saggio. Frutto di ricerche più che decennali, ripercorre interamente il percorso del nostro fiume. Qual è stata la spinta, la motivazione?

Per diversi anni mi sono occupato di storia economica e di attività lavorative collegate all’Adige. Per approfondire e cercare dati su questo tema, apparentemente settoriale, ma ampio e piuttosto complesso, mi sono servito di documenti originali e ricerche specifiche, in archivi e biblioteche: ho consultato atti, carte topografiche, testi di vario tipo. Ho anche avuto la possibilità di raccogliere testimonianze orali e di osservare quanto rimane ora degli impianti che un tempo funzionavano grazie all’energia della corrente, percorrendo gran parte delle rive del fiume, lungo i 410 chilometri del suo corso.

Con un lavoro che è durato diverso tempo ho messo insieme le informazioni raccolte e nel 2021 sono riuscito a far stampare un volume poderoso, di ben 530 pagine, intitolato Arti e mestieri sull’Adige dalle Valli tirolesi all’Adriatico (Cierre edizioni, 2021), che è stato accolto molto positivamente e ha ricevuto, cosa per me assai gradita, anche un paio di premi. Una mia soddisfazione è anche quella di aver dato memoria di tutte le interessanti attività che venivano svolte un tempo sul fiume, per riportare alla luce un mondo scomparso, forte di elementi ambientali e antropologici che sono parte della nostra storia.

– Ci vuoi raccontare qualcosa di questo saggio?

Di tutto l’insieme di operosità che caratterizzava l’Adige per gran parte del suo corso, dalle Valli alpine alla foce, si fa fatica, ora, a individuare anche i deboli segni che lo ricordano. A questo grande fiume si lega la storia di Verona, della sua provincia e delle numerose comunità tirolesi, trentine e del basso Veneto che nel passato hanno vissuto con esso una forma di simbiosi, soprattutto quando rappresentava una via di comunicazione tra le più importanti in assoluto nonché una fonte primaria di lavoro e prosperità.

L’Adige, navigabile per buona parte del corso, era percorso verso valle da barche e soprattutto da zattere di legno che salpavano da Bronzolo (poco a sud della confluenza tra il fiume e l’Isarco), seguivano la corrente e trasportavano materiali e mercanzie provenienti anche dal Nord Europa e dall’Inghilterra; a Verona, scaricate le merci, i tronchi delle zattere venivano tagliati alle Seghe (situate vicino alla chiesa di S. Eufemia e sui due canali presso l’Isolo; come ci ricorda la toponomastica: vicoletto Seghe S. Eufemia, via Seghe di S. Tomaso).

Le imbarcazioni percorrevano il fiume anche in senso contrario trainate da coppie di cavalli e buoi sulla nota strada alzaia tracciata sulla sinistra idrografica. Perno del traffico commerciale, oltre a Verona, era Pescantina, dove operavano due cantieri che costruivano barche adatte alla navigazione fluviale, con la chiglia quasi piatta e il timone laterale. Le più antiche e famose erano i burchi, lunghi 20/25 m, ma navigavano anche burchielle e panciane (versione “moderna” della cosiddetta barca Pescantina), di dimensioni inferiori e con basso pescaggio, utilizzate in particolare nei tratti da Verona verso settentrione.

Sull’Adige venivano svolte attività commerciali, artigianali e industriali che utilizzavano la forza cinetica della corrente; lungo gran parte del suo corso era un susseguirsi di mulini galleggianti e terragni mentre le ruote idrovore, che sollevano l’acqua per irrigare i campi, contraddistinguevano il paesaggio atesino tra la Chiusa e Verona. Del brulicante universo che si concentrava sul fiume è significativa una fotografia scattata nei primi anni del Novecento, a Settimo, qualche chilometro a monte di Verona. In corrispondenza di un passo volante, con delle ruote idrovore sullo sfondo, una piccola imbarcazione al centro e un più vicino mulino galleggiante, occupa la scena la chiatta del traghetto, pronto a imbarcare persone e mezzi di trasporto, mentre delle lavandare ricurve sull’acqua risciacquano i panni.

Di quel passato così ricco ma ormai lontanissimo permangono tracce, seppur deboli, principalmente nel territorio di Pescantina, come ad esempio i resti dei canali sopraelevati a Settimo, al Tegnente, presso Arcé o nella frazione di S. Lucia: tracce di un mondo che fu sopraffatto dalle profonde trasformazioni avvenute tra Ottocento e Novecento, in particolare la costruzione della ferrovia e l’introduzione dell’energia elettrica.

Biciclettata sulle tracce di Verona città fluviale

Partiti da Piazza San Zeno e superata Parona abbiamo imboccato l’alzaia sulla riva sinistra dell’Adige fino alla contrada Nassar. In questa località abbiamo incontrato un ex mulino terragno, dove la presenza di una rosta/pennello porta l’alzaia – costruita posteriormente – a deviare verso il centro del fiume per superarlo.

Dopo aver percorso altri 800 metri circa, all’altezza di una grande casa colonica, abbiamo svoltato a destra per arrivare a Settimo di Pescantina attraverso una strada interna. Ci siamo fermati al cosiddetto Porto (il luogo raffigurato nella vecchia fotografia qui presentata), dove si possono osservare ancora i resti di una canaletta sopraelevata che, collegata con le ruote idrovore poste in Adige (ahimè smantellate), forniva acqua per l’irrigazione dei campi circostanti. È presente inoltre, sulla facciata di una casa, ad un paio di metri dal piano stradale, il segno che ricorda il livello raggiunto dalla terribile piena del 1882, che tanti danni apportò anche agli edifici e ai ponti di Verona.

Seguendo la riva del fiume, sull’alzaia e su un tratto di strada asfaltata che in parte costeggiano la campagna di proprietà Bertoldi, un tempo irrigata con le ruote di cui si è detto, abbiamo raggiunto il mulino terragno detto “del Progno” (per la vicina presenza del Progno di Fumane). Gli attuali proprietari, i signori Fornaseri, ci hanno accolto e illustrato con piacere la storia e le funzioni del loro impianto, ora custodito con cura e diventato un piccolo ma assai interessante luogo della memoria.

Di nuovo in sella e via fino a Pescantina riprendendo l’alzaia e risalendo il fiume. Attraversato il paese, con la Piazza San Rocco cuore e un tempo centro lavorativo dei cantieri di barche, siamo arrivati fino al cospetto dell’imponente Duomo, alla cui alta ma armonica facciata, settecentesca, si accompagna la torre campanaria, costruita nel secolo successivo. Proprio a fianco, sul lato destro, in quella che era la vecchia parrocchiale in stile romanico, trasformata piuttosto fortemente in seguito, ha sede ora il museo etnografico “Lavoro e tradizioni lungo il fiume Adige”, interessantissimo perché raccoglie oltre ad attrezzature di vario tipo, manufatti (una piccola barca e vari modelli in scala), documenti originali e fotografie, anche le “storie” di tante persone che ci rimandano alla prima parte del ‘900 e oltre.

Una “pausa caffè” al circolo “Noi” e poi di nuovo sull’alzaia fino ad Arcé, dove abbiamo concluso la giornata con la vista alla piccola chiesa dedicata a San Michele, posta in mezzo ad un prato circondato da un vecchio muro, che presenta all’interno resti di affreschi, alcuni attribuiti alla scuola di Altichiero da Zevio. Ci siamo lasciati affascinare dai possibili significati della scritta palindroma posta sul portale laterale – la famosa “SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS” – e poi, pensando e ripensando alle varie interpretazioni, abbiamo concluso la nostra piacevole escursione al chiosco sul fiume annesso al residence Guglielmi, davanti ad una birra e ad un panino.

di Cecilia Tomezzoli e Fabrizia Graziani
(da Ruotalibera 183 – settembre-dicembre 2024)

Leggi tutto
Pulsante per tornare all'inizio

Questo sito utilizza strumenti che installano piccoli file (cookie) sul tuo dispositivo. I cookie vengono usati per permettere al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per raccogliere dati di navigazione (cookie statistici) o per promuovere prodotti e servizi (cookie di profilazione). Possiamo usare i cookie tecnici senza il tuo consenso, ma hai diritto di abilitare o meno quelli statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuterai ad offrirti una migliore esperienza di navigazione.