l’avventura di un cicloturista degli anni ’60
Enzino e i tre ghiaccioli

giovedì 21 febbraio 2008, di Alberto

Ecco una bella storia di un ciclista un po’ particolare che si improvvisa cicloturista della "Bassa veronese" negli anni ‘60. Chi in bicicletta non si e` spinto qualche volta oltre i propri limiti ? Anche se la regola dice "alimentazione e postura corretta, pianificazione dettagliata dell’itinerario, ..." (partecipa al corso di cicloturismo 2008 !), chi non ha mai improvvisato un giro fuori misura, fuori dalle proprie possibilita` ?
La storia ha un bel finale a sorpresa ...

Enzino e i tre ghiaccioli

di Bepo Merlin

Terenzio, Terenzino, Enzino per gli amici, era un personaggio singolare. Dotato di grandi potenzialità, mancava di una dote fondamentale: il senso della misura. Qualunque cosa facesse partiva a razzo e manteneva il ritmo altissimo finché ci riusciva.

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Enzino "prometteva" bene fin da piccolo

O scoppiava o arrivava primo.
Il suo motore sapeva solo andare al massimo. Sembrava quasi che non avesse il volano.
Che giocasse a pallone o corresse a piedi o andasse in bicicletta, il comportamento era sempre lo stesso: scattava staccando tutti.
A volte gli andava bene. Più spesso doveva fermarsi lungo la strada e vomitava l’anima. Dopo ripartiva con lo stesso slancio.
Di slancio era partito quell’estate del ’64, dopo la messa e la meditazione del mattino (da buon seminarista, qual era, non poteva mancare a questi impegni quotidiani), per una breve biciclettata fino a Legnago e ritorno. Una ventina di chilometri che avrebbe percorso al massimo in tre quarti d’ora.
La mamma, che lo aspettava per colazione e conosceva le sue abitudini, non si sarebbe certo meravigliata di vederlo arrivare a casa alle 8 e 30.
Lo stradone asfaltato e ben ombreggiato dai maestosi platani che lo affiancavano lungo tutto il percorso, rendeva piacevole quella breve ed intensa galoppata. Anzi, provocava in Enzino uno strano sentimento: il desiderio di prolungare ancora un po’ la mattutina sgroppata.
Il traffico era blando: qualche rara auto privata. qualche camion, qualche trattore che sferragliava e sbuffava nei campi.
Poi lunghi minuti in compagnia del rumore delle ruote della bicicletta e del vento tra le foglie dei platani.
Ecco Legnago, la meta prevista. San Pietro era stato attraversato in un baleno, senza neppure un rallentamento. Un salto in centro, anzi fino al ponte dell’Adige e poi il ritorno a Cerea.
Beh, però ... quel cartello che segna "Montagnana 15", sembra messo lì apposta per tentare Enzino. Massì, vada per Montagnana. In fondo non ha nemmeno tanto appetito e poi la mamma è così comprensiva!

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le mura di Montagnana

Le gambe girano sempre più facilmente. Enzino sente crescere dentro una strana euforia. L’asfalto scorre veloce sotto le ruote. I pedali girano quasi da soli. La bella giornata è ancora abbastanza fresca. Un senso di libertà e di potenza pervade la testa di Enzino. Ecco Montagnana con le sue mura e le torri merlate di porta Legnago. Anch’essa è passata e in successione passano poi Este, Monselice, Battaglia, Padova, la splendida riviera del Brenta e le sue ville. Enzino, tappa dopo tappa, paese dopo paese arriva a Mestre e, infine, a Venezia. E’ già passato il mezzogiorno. La fame si fa sentire, ma il portafoglio è desolatamente vuoto. Enzino prende un ghiacciolo in un bar. Poi, senza pensarci due volte, gira la bicicletta e inizia il ritorno. Il sole è già oltre lo zenit. Fa caldo, accidenti, fa caldo.
La riviera del Brenta non è più così interessante e Padova non è così vicina a Venezia come sembrava. La fame comincia a mordere lo stomaco, le gambe non sono più così toniche come all’andata. Ma è la sete il vero problema. A Padova c’è qualche fontanella. Poi non restano che i pochi spiccioli per i ghiaccioli. A Monselice Enzino compera il secondo, ma la gola è così riarsa che gli sembra quasi di non averlo neppure mangiato.
Giunto a Este gli sembrò di non farcela più.
Ma tenne duro: la fame e il desiderio di casa, nonostante non l’aspettasse un’accoglienza proprio festosa, ebbero il sopravvento sulla voglia prepotente di fermarsi.
Ecco di nuovo le torri di Montagnana. Lo stupore della vista mattutina era svanito da tempo. La fatica gli ottenebrava la mente. Il caldo appiccicoso e senza una bava d’aria gli rendeva faticoso anche respirare. Fece un rapido conto mentale dei chilometri che gli mancavano all’arrivo: 15 a Legnago, altri nove a Cerea e l’ultimo chilometro fino a casa. Troppi, decisamente troppi. Si trascinò con la forza della disperazione fino a Bevilacqua. Ironia della sorte, per bagnarsi le labbra e ingerire un po’ di zuccheri, dovette spendere gli ultimi spiccioli per comprarsi il terzo ed ultimo ghiacciolo. Era in riserva e non sapeva se quel goccio di ristoro freddo e dolce sarebbe bastato fino ai rimproveri della mamma.

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uno scorcio del castello di Bevilacqua

A metà del lungo rettifilo tra Bevilacqua e Porto di Legnago, grandioso come il profeta Elia, decise di buttarsi nella scarpata e lasciarsi morire.
Così fece. Il riposo gli giovò. Dopo mezz’ora, dolorante e acciaccato, era di nuovo in sella.
Gli ultimi dieci chilometri scivolarono lentamente dietro le spalle. La vista del campanile di Cerea e della sagoma della fabbrica Perfosfati che sovrastavano le chiome dei radi alberi della campagna, ebbe l’effetto di un balsamo ristoratore.
Le sue gambe stentavano a girare, le forze mancavano, il respiro era sempre più affannoso ma la fatica non era più oppressiva come qualche ora prima.
Quel che successe a casa, rimase fra le quattro mura.

Ma ogni volta che raccontava questa sua assurda impresa, gli occhi brillavano di una luce particolare.
Poteva andarne fiero e a noi non rimaneva che l’invidia.
Non capita molto spesso che un bambino di tredici anni percorra più di duecento chilometri in bicicletta, in un giorno.
E con soli tre ghiaccioli!